La nuova Costituzione che vuole “cubanizzare” il Venezuela

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La nuova Costituzione che vuole “cubanizzare” il Venezuela

09 Novembre 2007

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Degenera la situazione in Venezuela, dove la perenne contrapposizione frontale tra Chavez e i suoi avversari è tornata a far scorrere sangue. Giovedì 8, nel corso delle manifestazioni studentesche contro la riforma della Costituzione voluta dal “comandante”, una sparatoria è divampata all’interno della UCV – l’Università centrale del Venezuela, a Caracas – provocando nove feriti, tra cui sette ragazzi appena tornati da una marcia. Docenti dell’ateneo hanno accusato apertamente il presidente Hugo Chavez di essere “l’autore intellettuale” del fatto, imputando la sparatoria a bande armate affini al movimento chavista.

Attacchi a colpi di armi da fuoco a margine della politica non si verificavano dai tempi del referendum revocatorio, nel 2004. Sul tappeto, adesso, c’è la riforma costituzionale voluta da Chavez, che promette di instaurare “il socialismo” e solleva in gran parte del paese – in particolare, nella classe media e nella comunità italiana – enormi paure su quello che accadrà alla proprietà privata o all’istruzione, con la sinistra prospettiva di veder realizzata, alla fine, la tanto temuta “cubanizzazione” del Venezuela. Il prossimo 2 dicembre si voterà il referendum che dovrà confermare questa nuova Carta, scritta e votata da un Parlamento al cento per cento chavista. Quest’ultimo fatto, è vero, è da addebitarsi all’opposizione, che decise di disertare le elezioni politiche del 2005; in ogni caso, una Costituzione scritta da una sola parte politica solleva evidenti riserve, tanto da aprire crepe all’interno di uno schieramento che, fino ad adesso, aveva appoggiato il suo leader senza manifestare dissensi.

Per esempio, il generale Raul Baduel: il 13 aprile del 2002 fu lui a liberare Chavez dai militari golpisti, e a reinsediarlo a Miraflores. Lo scorso 6 novembre, ha esortato a votare “no” al referendum del 2 dicembre, venendo bollato come traditore da Chavez. L’alto ufficiale – ora a riposo – ha rilasciato un lungo comunicato alla stampa in cui si legge, tra l’altro: “Questa non è una riforma costituzionale, bensì la trasformazione dello Stato in un paese del tutto diverso, che sarà governato togliendo il potere al popolo; una riforma dove al popolo si promettono benefici lavorativi e di altro genere, in cambio della cessione al potere esecutivo della gestione del Paese e delle sue ricchezze, togliendo ai venezuelani ogni possibilità di eleggere e rimuovere i suoi governanti”.

L’azzeramento della democrazia prospettato da Baduel risiede, sostanzialmente, nella contestatissima norma che consentirebbe al presidente in carica di essere rieletto indefinitamente (adesso il limite è due mandati). Si tenga presente che in un paese come il Venezuela, dove chi controlla il petrolio controlla la totalità della ricchezza del paese, i poteri reali del presidente sono anche superiori a quelli del presidente di una qualsiasi altra Repubblica presidenziale. I “benefici lavorativi” si riferiscono invece all’articolo della nuova Costituzione che sancisce la riduzione della giornata lavorativa a sei ore, e della settimana lavorativa a trentasei ore: “E’ un’esca per far votare “sì” al prossimo referendum costituzionale”, dicono nell’opposizione. Mentre i sindacati denunciano di essere stati esautorati, e lamentano un altro attacco alla loro autonomia.

C’è poi il nodo della proprietà privata. La nuova Costituzione continua a contemplarla (art. 115); ma un avvocato italovenezuelano, che chiede l’anonimato, sottolinea una frase di quell’articolo: la proprietà privata “è riconosciuta sui mezzi di produzione legalmente acquistati”. E avverte: “Se lo Stato vorrà prendermi, ad esempio, un terreno, potrebbe diventare molto difficile produrre tutti i documenti necessari per dimostrare che quel terreno è mio; perché magari io il contratto d’acquisto dal proprietario precedente lo posseggo, ma i diritti del vecchio proprietario, e del suo eventuale predecessore, e così via, come li esibisco? Per non parlare – continua – dell’asservimento del potere giudiziario al potere esecutivo, visto che il TSJ (l’equivalente venezuelano del Csm) è nominato dal Parlamento, come detto al cento per cento chavista. La nuova Costituzione mette inoltre nero su bianco quello che, in definitiva, già avviene: un esproprio diventa esecutivo ancora prima che un tribunale si sia pronunciato sulla sua liceità, e sulla congruità del risarcimento al proprietario”.

C’è una diffusa corrente di pensiero in Venezuela, che unisce chavisti e antichavisti, secondo cui il problema più grave del paese è la mancanza di un’opposizione che abbia un minimo di forza per opporsi allo strapotere – istituzionale e di consensi – di Chavez. Molto probabilmente, anche l’appuntamento del 2 dicembre confermerà questo stato di cose. Adesso il fronte antichavista è spaccato tra chi invita a votare “no”, come Baduel, e chi invece invita all’astensione, allo scopo di delegittimare la nuova Carta. Come se le politiche del 2005 non avessero insegnato nulla.