La nuova questione meridionale si gioca tutta sull’ordine pubblico
12 Agosto 2009
La discussione di queste ultime settimane sulla necessità o meno di dare vita a un partito del sud ha avuto, se non altro, il merito di riportare la questione meridionale al centro del dibattito politico. Si è tornato a parlare di impegno meridionalistico del governo, sono state avanzate varie proposte e si prospettano alcune iniziative. A tal proposito può essere utile una breve riflessione sul meridionalismo nonché sul suo significato storico e politico. Non per svolgere un asettico esercizio di illustrazione storica, ma per trovare nell’esperienza passata elementi utili di valutazione per l’oggi.
Il meridionalismo nasce all’indomani del Risorgimento. L’unificazione nazionale, ponendo a contatto due parti della penisola diversamente progredite sotto il profilo economico e civile, faceva emergere la necessità di un processo di agguagliamento o di omogeneizzazione. In altri termini il meridionalismo ha geneticamente una vocazione nazionale, all’interno del più complessivo processo di edificazione del nuovo stato.
A tal proposito sarà il caso di notare che il meridionalismo non è mai stato appannaggio dei soli meridionali, ma che fra le sue fila si sono annoverati molti italiani di origini centro settentrionali. Basti pensare, tanto per fare dei nomi, al toscano Leopoldo Franchetti (cui si deve nel 1875 la ben nota relazione sulle Condizioni economiche delle province napoletane), a Umberto Zanotti Bianco (che scese al Sud dal Piemonte in occasione del terremoto di Messina del 1908), oppure, e siamo in tempi più recenti, al romano Manlio Rossi Doria o al valtellinese Pasquale Saraceno. A segno appunto di una caratterizzazione del problema meridionale come di un problema italiano. Così è ancora oggi e non può essere diversamente. Tuttavia se questo è un elemento di continuità non ci può essere continuità sul piano delle politiche pubbliche e degli strumenti istituzionali ed economici (finanziari, fiscali) che si vogliono adottare.
Rimanendo alle politiche meridionaliste del dopoguerra, la discontinuità con la situazione attuale appare evidente. Oggi chi si pone il problema dell’azione meridionalistica deve ragionare in termini del tutto diversi da quello che si faceva o si ipotizzava quaranta o cinquanta anni addietro. Negli anni sessanta del secolo scorso si riteneva che fosse necessario un intervento statale per supportare l’industrializzazione del meridione. Al massimo questo intervento era visto come non esclusivo, ma concorrente con l’iniziativa privata. Ai nostri giorni questa è una strada impercorribile. Non solo perché le risorse sono scarse, ma soprattutto perché le condizioni economiche internazionali sono mutate. Insomma, lo stato imprenditore è ormai un’illusione consegnata alla storia. Qualcosa di utile, semmai, può venire da investimenti indiretti, relativi a opere pubbliche, servizi. In sostanza una riedizione di quello che Saraceno chiamava il finanziamento ai "prerequisiti" dello sviluppo economico. In questa direzione sembra muoversi il governo con la ventilata Agenzia del sud che, stando allo slogan adoperato da Berlusconi nella sua intervista a Il Mattino, si concentrerà su «infrastrutture, turismo, innovazione». Le intenzioni appaiono lodevoli, perciò speriamo bene, anche se per dare un giudizio non impressionistico bisognerà valutare caso per caso gli interventi previsti.
In attesa di meglio poter valutare la qualità dell’impegno governativo, c’è, però, un settore sul quale il governo centrale può fare molto e sul quale non mi pare di vedere un sufficiente impegno. Intendo riferirmi all’ordine pubblico. Ristabilire l’autorità dello Stato in zone controllate dalla malavita può essere un viatico importante anche per favorire la crescita economica, consentire la emersione del sommerso, ripristinare condizioni di normalità all’agire individuale.
Non si tratta di raccogliere la bandiera della lotta alla criminalità organizzata che troppo spesso ha finito con l’essere una copertura a esercitazioni sociologiche "anticapitalistiche", bensì di dare forza a una politica di tolleranza zero. Una politica pragmatica che, anziché presumere di colpire il terzo o il quarto livello della malavita nelle sue connessioni finanziarie, sappia reprimere duramente la manovalanza criminale bonificando e depurando la vita quotidiana da un peso intollerabile. Creare, insomma, le condizioni per il più libero dispiegarsi dell’iniziativa individuale.
Per la crescita del sud i finanziamenti di opere pubbliche possono certamente essere utili, ma altrettanto utili possono risultare alcune divisioni dell’esercito poste a severo presidio del territorio.