La nuova squadra di Obama è tutta clintoniana

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La nuova squadra di Obama è tutta clintoniana

10 Novembre 2008

Obama e il clintonismo. I nomi che il presidente ha scelto e sceglierà nei prossimi due mesi per formare la sua squadra di governo sembrano riproporre almeno in parte la politica “unitaria” che caratterizzò l’ultima fase dell’era Clinton. Un programma moderato contraddistinto da una politica fiscale progressiva e da un aumento degli investimenti nella sanità, nell’istruzione e nell’ambiente. Obama ha promesso di concentrarsi sulle classi medie per alleggerire il carico fiscale di chi sta sopportando il peso della crisi. Vuole offrire servizi sociali più ampi sperando di non mandare in tilt la spesa pubblica. La sua priorità è il programma di salvataggio dell’economia, che la gente torni a lavorare e produrre. Il problema è conciliare tutto questo con gli ambiziosi piani di spesa per la sanità, il cambiamento climatico e l’indipendenza energetica.

Obama potrebbe scegliere un approccio aggressivo che risolva i problemi in un colpo solo, come fece Franklin D. Roosevelt, oppure un percorso ibrido puntando sul salvataggio dell’economia come centro di aggregazione dei diversi temi in agenda. Il nuovo presidente si trova nella stessa situazione di Clinton quando arrivò alla Casa Bianca nei primi anni Novanta. L’America era di fronte alla recessione, milioni di posti di lavoro erano andati persi e il deficit pubblico sembrava incontrollabile. In quattro anni Clinton riuscì a incrementare l’occupazione, abbassando l’inflazione e favorendo le esportazioni. Nel secondo mandato anche il welfare sarebbe stato ridimensionato. La tentazione di riproporre queste ricette deve essere forte. I clintoniani spingeranno Obama verso una politica di tipo centrista per conciliare le ragioni di un welfare competitivo con quelle di un mercato più controllato. 

West Wing. Abbiamo già parlato di John Podesta l’eminenza grigia che Obama ha scelto per guidare il “team di transizione” fino al suo insediamento. In un’intervista rilasciata ieri a "FoxNews", Podesta ha dichiarato che il nuovo esecutivo sta valutando di annullare o sostituire almeno 200 provvedimenti della amministrazione Bush. Le prime mosse dovrebbero riguardare la ricerca sulle cellule staminali e le trivellazioni petrolifere. Il primo test sarà la legge sull’assistenza sanitaria ai bambini, lo “State Children’s Health Insurance Program” su cui Bush ha messo il veto.

La notizia degli ultimi giorni è stata la nomina del senatore Rahm Emanuel a capo dello staff della Casa Bianca. Sia Obama che Clinton hanno ottenuto il sostegno e i finanziamenti della comunità ebreo-americana grazie ai buoni uffici di Emanuel. Il nuovo capo dello staff è la quintessenza dei “new democrats” favorevoli a una politica bipartisan. Si potrebbe definirlo un centrista dai modi bruschi (è soprannominato “Rambo”). Il "Piano Emanuel" per far ripartire il Paese si basa su una teoria tanto semplice quanto radicale: democratici e repubblicani dovranno confrontarsi su un nuovo “Contratto sociale per l’America” che sia condiviso da entrambe le parti.

Emanuel sarà il confidente di Obama, un “operativo” in grado di far marciare l’agenda presidenziale a Capitol Hill. Durante l’amministrazione Clinton aiutò a far passare il “North American Free Trade Agreement” e fu un prima linea nella battaglia contro il crimine. Mercato e sicurezza sono due dei temi riconquistati dai democratici dopo che il movimento liberal li aveva abbandonati negli anni Settanta. Emanuel organizzò lo storico incontro che si concluse con stretta di mano tra il presidente israeliano Rabin e il leader palestinese Arafat sul prato della Casa Bianca. Forse per questo l’unico intervento di Al Qaeda a commento delle elezioni Usa riguarda proprio lui: “Il nuovo presidente americano ha nominato come suo capo di gabinetto l’ebreo Emanuel che è di origini israeliane e ha lavorato in Israele come volontario durante la prima guerra del Golfo 17 anni fa in una base dell’esercito occupante nel nord del Paese”.

La seconda nomina di Obama è stata quella di Robert Gibbs che diventa il "Press Secretary" della Casa Bianca. Il 37enne Gibbs, un democratico dell’Alabama, ha fatto carriera con John Kerry e Howard Dean. Lo definiscono un Karl Rove in miniatura. Da quando è stato ingaggiato nello staff elettorale, i giornalisti al seguito di Obama hanno dovuto ingoiare parecchi rospi. La tecnica di Gibbs è mettere in freezer i reporter. Tenere Obama lontano dai media evitando che l’esposizione 24 ore su 24 del presidente finisca per nuocere alla sua immagine.      

La politica interna. Durante la sua prima conferenza stampa il presidente è stato accompagnato da una nutrita pattuglia di economisti. Tra loro c’erano due candidati al dipartimento del Tesoro: l’ex presidente della Federal Reserve Bank, Paul Volcker, e  l’ex ministro del Tesoro Lawrence Summers, un altro clintoniano. Mancava Timothy Geithner che ha delle buone chance di conquistarsi il posto.

Volcker ha fatto sapere che getterà la spugna causa l’età. Ha 81 anni ma è un mito dell’economia americana: presidente della Federal Reserve a cavallo tra Carter e Regan predicò una deregulation meno anarchica di quella attuale. Fa parte della “Commissione Trilaterale” e frequenta il salotto buono della finanza americana. Summers fu uno dei maggiori sostenitori del libero commercio, della deregulation e delle politiche free-market-oriented, durante l’amministrazione Clinton. Negli ultimi tempi si è convertito a un modello neoprotezionista favorevole all’intervento dello stato in economia e contrario alla speculazione finanziaria; parla di regolazione della finanza e di restrizioni al commercio. Anche il 47enne Geithner ha dimostrato di avere grande intuizione lanciando l’allarme sui “derivati” e i prodotti finanziari tre anni fa.

Volcker, Summers e Geithner vengono già definiti “i vigilantes del mercato”. Il nuovo ministro del tesoro dovrà limitare e controllare i guasti della tecnofinanza (subprime, bond, hedge ed equity fund, derivati). Probabilmente rinforzerà i poteri della SEC, l’organo di vigilanza sulla Borsa. Da ultimo dovrà gestire le centinaia di miliardi di dollari stanziati dal pacchetto Bush/Paulson per puntellare gli istituti a rischio e concedere dei prestiti ai privati e al sistema industriale (per esempio quello automobilistico). Il Bailout potrebbe spingere il deficit verso livelli stratosferici, di conseguenza i limiti di manovra del Tesoro saranno molto ristretti.

La politica estera. C’è una differenza sostanziale tra gli anni Clinton e quelli che stiamo vivendo. Allora era caduto il Muro di Berlino e gli Usa si ripiegavano su se stessi per risolvere la crisi interna. In politica estera Clinton ottenne dei risultati accettabili nei negoziati arabo-palestinesi e riuscì a mettere una pezza sulla catastrofe balcanica (dagli accordi di Dayton all’intervento in Kosovo). La brutta esperienza in Somalia avrebbe fatto emergere i limiti della politica di sicurezza democratica. Il più grande errore di Clinton fu sottovalutare Bin Laden e la guerra jihadista scatenata contro l’Occidente. Questo permise alla carovana terrorista di spostarsi indisturbata tra Africa e Medio Oriente lasciando l’America esposta alla minaccia dell’11 Settembre.

Obama si trova nel bel mezzo della Quarta Guerra mondiale combattuta dagli Usa contro i regimi terroristi e le dittature del mondo islamico. Deve gestire due fronti di conflitto aperti in Iraq e in Afghanistan. Enfatizzare il multilaterismo rafforzerà gli interessi americani in Medio Oriente? Ritirarsi dall’Iraq, negoziare con l’Iran, concentrare lo sforzo bellico tra Pakistan e Afghanistan, saranno mosse sufficienti a vincere la guerra? Durante la prima conferenza stampa c’era solo il vicepresidente Biden a rappresentare gli interessi strategici e di potenza degli Usa. Il fatto che la politica estera appaia il punto debole della futura presidenza è confermato dalla grande incertezza che circola sui nomi destinati a contendersi la nomina di segretario di stato.

Uno dei candidati in lizza è il governatore del Nuovo Messico Bill Richardson che è stato ambasciatore alle Nazioni Unite durante l’amministrazione Clinton e ha ricoperto anche la carica di ministro dell’energia. Richardson è uno dei democratici di più lunga esperienza diplomatica e negli anni Novanta ed è noto la sua instancabile attività di negoziatore. Tra le sue priorità c’è il conflitto in Darfur. In corsa ci sono anche Richard Holbrooke, ex ambasciatore all’ONU tra gli “ingegneri” degli accordi di Dayton, e John Kerry, il candidato democratico sconfitto da Bush alle presidenziali del 2004.

La nomina del segretario di stato potrebbe essere un ponte verso l’opposizione repubblicana. Obama corteggia i moderati del GOP, sia il senatore repubblicano dell’Indiana Richard Lugar che il “maverick” del Nebraska Chuck Hagel. Entrambi hanno criticato pesantemente l’impegno di Bush per la liberazione dell’Iraq. In pista c’è anche l’attuale segretario di stato, Robert Gates, la “colomba” che ha sostituito Donald Rumsfeld al Pentagono. Gates ha promesso che farà di tutto per garantire “una transizione senza problemi” fino all’insediamento di Obama. E’ un manager competente ma non è un leader innovativo. Non sarebbe in grado – anche ideologicamente – di mettere in pratica il ripensamento di Obama sulla strategia americana di sicurezza globale.

Circolano vari nomi tra i consiglieri della Sicurezza Nazionale. Uno dei temi privilegiati dall’agenda sarà l’Africa che fu una delle scommesse perdute di Clinton. Susan Rice, l’ex consigliere per la sicurezza di Clinton, è tornata ad alzare la voce sui fallimenti delle Nazioni Unite in Darfur chiedendo un intervento diretto degli Usa contro il Sudan. Il generale in pensione Jonathan Scott Gration si è battuto contro la diffusione della povertà e delle malattie nei villaggi del Congo. Il senatore della Georgia Sam Nunn potrebbe occuparsi della spinosa questione nucleare tra gli Usa e la Russia di Putin. Nel 1991, insieme all’indipendente Lugar, Nunn ha presentato il “Cooperative Threat Reduction Program” (CTR) per il progressivo smantellamento del programma nucleare dell’ex Unione Sovietica.

L’ex segretario di stato Madeleine Albright è un’altra clintoniana di ferro che potrebbe indicare all’America come tornare ad essere la potenza-guida delle Nazioni Unite: una “diplomazia muscolare” in alternativa all’interventismo democratico del presidente Bush. Ma il mondo è cambiato dopo l’11/9 e se Obama rinunciasse agli ideali antitotalitari la sinistra americana perderà un’occasione storica di riformare il Medio Oriente e il mondo islamico.