La pace tra israeliani e palestinesi passa anche per la Siria

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La pace tra israeliani e palestinesi passa anche per la Siria

27 Dicembre 2007

Negli scenari politici internazionali, il 2007
è stato senza dubbio l’anno dell’Iran. Per dodici mesi si è assistito al tira e
molla sulla corsa al nucleare di Ahmadinejad (obiettivo civile per il
presidente iraniano, obiettivo militare per gli Stati Uniti), fino al recente
documento del Nie (National Intelligence Estimate) per il quale la Repubblica
islamica avrebbe interrotto il suo programma di armamenti nucleari nel 2003: in
mezzo a tutto ciò, in occasione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite,
Ahmadinejad aveva poi monopolizzato l’attenzione dei media con una pubblica
conferenza alla Columbia University di New York.
 
In questi giorni, però, sembra crescere anche l’attenzione sulla Siria: in una
conferenza stampa di fine anno, il presidente americano George W. Bush ha
dichiarato di aver perso la pazienza con Assad, mentre Israele – sul fronte
della difficile partita mediorientale per giungere alla nascita di uno Stato
palestinese di fianco a quello israeliano – sembra tendere una mano allo
storico nemico per poter trattare più liberamente con il presidente dell’Anp
Abu Mazen. La Siria – a fronte di un 2008 cruciale per americani, israeliani e
palestinesi – sembra dunque assumere un peso sempre maggiore, ponendosi come
una pedina importante nello scacchiere mediorientale.
 
La Siria, repubblica presidenziale retta da Bashar Assad (figlio di Hafez,
generale baathista, che instaurò una dittatura personale nel 1971 per poi
passare il testimone al figlio), si trova da tempo in rotta di collisione con
gran parte del mondo occidentale. Svariate sono le accuse rivolte al presidente
siriano: quella di sostenere (politicamente e con diretta fornitura di armi)
Hezbollah, prezioso “alleato” contro Israele dal quale la Siria vorrebbe
indietro le alture del Golan; quella di sostenere, per gli stessi motivi,
l’altro grande movimento di resistenza contro Israele: Hamas, che ha instaurato
il proprio regno nella Striscia di Gaza; quella di foraggiare, infine, il
terrorismo internazionale facente capo ad Al-Qaeda.
 
Anche se Assad non è stato inserito da George W. Bush nel celebre “asse del
male” – del quale, come annunciato nel discorso sullo Stato dell’Unione del 29
gennaio 2002, facevano parte Iraq, Iran e Corea del Nord –, l’attuale
amministrazione americana ha sempre guardato alla Siria con molto sospetto.
John Bolton, al tempo sottosegretario di Stato, la pose formalmente nella lista
degli “Stati canaglia” in occasione di un discorso intitolato “Oltre l’asse del
male”: Libia, Cuba e Siria, secondo Bolton, erano nel 2002 tra i maggiori
sponsor del terrorismo internazionale.
 
Cinque anni dopo, Bush non ha cambiato idea. Il 13 dicembre scorso, in
occasione dell’uccisione del generale libanese Francois al-Hajj (destinato a
diventare capo dell’esercito), il presidente americano ha rilasciato un
comunicato molto chiaro: “Mentre il Libano cerca di scegliere un presidente
democraticamente e secondo la sua costituzione, le interferenze del regime
siriano e dei suoi alleati, volte a intimidire il popolo libanese, devono%0D
finire”. Poco prima di Natale, nel corso di una conferenza stampa alla Casa
Bianca, Bush ha poi rincarato la dose e chiarito le proprie accuse al regime
siriano: stando alla presidenza statunitense, Assad “continua a tentare di
destabilizzare il Libano, ad aiutare Hezbollah, a consentire agli attentatori
suicidi di entrare in Iraq”. Principalmente le stesse accuse rivolte da tempo
ad Ahmadinejad, anche se in questo caso sulle relazioni tra Siria e Stati Uniti
non pende la spada di Damocle della corsa al nucleare.
 
Anche Israele, stretto alleato degli Stati Uniti, con la Siria ha sempre
intrattenuto rapporti burrascosi. All’origine di tutte le controversie, un
altopiano di 1250 km quadrati: il Golan. Nel corso degli anni Cinquanta e
Sessanta, la regione fu usata dai siriani come base per bombardare la Galilea:
nel 1967, nel corso della guerra arabo-isreliana, Israele occupò l’altipiano,
che annesse formalmente al proprio territorio nel 1981. Ancora oggi, oltre
venticinque anni dopo, la questione del Golan è il principale motivo d’attrito
tra Israele e la Siria: Assad, come il padre, vorrebbe indietro il territorio e
da questa volontà scaturisce gran parte del sostegno fornito a Hezbollah e
Hamas.
 
Di Golan si è parlato molto nei giorni precedenti alla conferenza di Annapolis:
la Siria, infatti, accettò l’invito nel Maryland a patto che la questione
dell’altipiano venisse messa nell’agenda ufficiale dei colloqui. Formalmente
questo non è avvenuto, anche se la presenza della Siria all’Accademia Navale
lascia ipotizzare un qualche accordo dietro le quinte.
 
Israele è ben consapevole dell’importanza della Siria nel quadro delle
trattative con i palestinesi di Abu Mazen. L’idea è che rapporti distesi con
Assad permetterebbero di negoziare con maggior forza e tranquillità: raggiunto
un accordo la Siria potrebbe smettere di armare Hamas ed Hezbollah, assestando
così un duro colpo ai principali ostacoli alla costituzione dei due Stati.
 
I rapporti tra Siria e Israele sono legati alla più sottile diplomazia. In
entrambi gli Stati, infatti, forte è la contrarietà a concedere qualcosa
all’“avversario”: le notizie che giungono da Tel Aviv, però, lasciano intendere
che qualcosa si sta muovendo. Se nel 2006 l’allora ministro della Difesa israeliano,
Shaul Mofaz, inserì la Siria in un (ulteriore) “Asse del male”, dopo la
conferenza di Annapolis dello scorso novembre i toni sembrano essere
maggiormente distensivi.
 
Il 21 dicembre, il quotidiano israeliano “Haaretz” ha riportato fonti vicine al
premier Ehud Olmert per le quali “la questione siriana ha ancora maggiori
possibilità di successo rispetto a quella palestinese”, mentre in vista della
conferenza di Annapolis, Olmert ha mantenuto aperto un contatto con Assad per
mezzo di Stati terzi, in particolare Turchia e Germania. Un lavorio diplomatico
di successo, certificato dalle parole di un funzionario dell’entourage di
Olmert secondo cui “il fatto che la Siria sia venuta ad Annapolis e abbia
cancellato la conferenza dei gruppi terroristici che si sarebbe dovuta tenere a
Damasco è un segnale positivo e incoraggiante”.
 
Il giorno di Natale Olmert si è esposto anche in prima persona. Nel corso di un
incontro con il senatore statunitense Aarlen Specter, il premier israeliano ha
stilato un messaggio che l’ospite consegnerà oggi ad Assad. Specter, un ebreo
repubblicano, è uno dei maggiori sostenitori del dialogo con la Siria e il
contenuto del messaggio verterebbe proprio sulla disponibilità del governo
israeliano a riprendere i colloqui con Damasco.

Ma contro la disponibilità al dialogo con la
Siria si pongono proprio gli Stati Uniti che tanto, nei mesi passati, hanno
spinto Israele a una maggiore apertura nei confronti dei palestinesi, giungendo
a criticare apertamente la costruzione di nuovi insediamenti a Gerusalemme Est.
Condoleezza Rice, impegnata affinché le trattative tra Olmert e Abu Mazen
vadano a buon fine, ha rincarato la dose nel corso della recente conferenza di
Parigi dove sono state stanziate nuove donazioni a favore dei palestinesi:
“Annapolis è stata una possibilità che abbiamo dato alla Siria e la prova del
nove sono state  le elezioni
presidenziali in Libano. A questo punto, la Siria ha completamente fallito”, ha
detto il segretario di Stato americano, lasciando intendere che l’interferenza
di Assad nella terra dei Cedri è per gli Stati Uniti assolutamente inaccettabile.