La partita che Fiat si gioca in Italia è piccola. Marchionne lo sa, la Fiom no

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La partita che Fiat si gioca in Italia è piccola. Marchionne lo sa, la Fiom no

12 Gennaio 2011

La vigilia del voto nello stabilimento di Mirafiori sul nuovo contratto aziendale Fiat non è certo tranquilla. Sono arrivate anche le stelle a cinque punte nei confronti di Marchionne. Tale azione è causa di un’estrema ideologizzazione del conflitto che non serve né alla Fiat né agli stessi lavoratori.

Fiat propone un nuovo modello contrattuale, nel quale in cambio di maggiore produttività e flessibilità nello stabilimento è offerto uno stipendio più elevato, fino a 3600 euro annuali lordi in più rispetto al contratto attuale. Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, dopo aver vinto la sfida a Pomigliano d’Arco con la Fiom, ha deciso di mettere ai voti anche l’investimento di Torino.

Mirafiori come Pomigliano d’Arco sono parte di una strategia più ampia di Fiat, che vede un investimento di lungo periodo in Italia per circa 20 miliardi di euro: è il progetto “Fabbrica Italia” presentato nella scorsa primavera, nello stesso periodo nel quale veniva anche annunciato lo spin-off tra la parte Industrial e quella Auto e il piano industriale fino al 2014.

Gli obiettivi del piano sono molto ambiziosi e non saranno facili da raggiungere per l’azienda automobilistica torinese. Il raddoppio della produzione e del fatturato nel settore auto sono una sfida molto complicata da vincere, in un mercato automotive sempre più competitivo e globalizzato. La stessa azienda torinese è sempre più internazionale. Fiat, dopo l’ulteriore crescita del 5 per cento in Chrysler, ha ormai il controllo azionario di un quarto dell’azienda di Detroit “caduta” nel 2009.

Marchionne ha l’opzione di salire fino al 51 per cento della casa automobilistica americana, ma per fare ciò ha necessità di trovare risorse fresche. Per tale ragione è stato fatto lo spin-off che sta portando i risultati sperati e sta valorizzando al meglio il produttore automobilistico italiano. La Fiat immaginata dall’amministratore delegato nel 2014 dovrebbe essere un colosso internazionale con solide basi italiane.

Attualmente la produzione italiana è scesa a poco piú di 600 mila veicoli annuali, nonostante le reiterate e sbagliate politiche di sussidio al settore automobilistico. Tale livello è inferiore a quello belga o della Repubblica Ceca ed ha visto una contrazione di circa il 50 per cento nell’ultimo decennio.

Fiat ha deciso di riportare ad oltre un milione di veicoli prodotti la produzione italiana e per raggiungere questo risultato il progetto “Fabbrica Italia” prevede forti investimenti nel nostro Paese.
Questo investimento è una sorta di ricatto? Sergio Marchionne ha affermato anche negli scorsi giorni che il miliardo di euro previsto per produrre la Jeep e l’Alfa Romeo a Mirafiori non necessariamente rimarrà a Torino. Questi modelli potrebbero essere prodotti laddove ci sono le condizioni necessarie per raggiungere gli obiettivi aziendali (anche in altri stabilimenti italiani).

L’amministratore delegato di Fiat pone delle condizioni. Offre un maggiore stipendio per aumentare la produttività dello stabilimento torinese e non obbliga certo a firmare un contratto che abbassa il livello salariale.

Gli accordi di secondo livello, come quello di Pomigliano d’Arco o Mirafiori tolgono diritti ai lavoratori? Questi accordi sono uno degli elementi di base del successo del modello tedesco, dove il 40 per cento della contrattazione non segue un contratto nazionale.

In questo conflitto sempre più aspro non è ancora sicuro l’esito del voto che si terrà tra giovedì e venerdì nello stabilimento torinese: parte del sindacato d’accordo con il nuovo contratto afferma che la vittoria è sicura, ma non è certo facile fare delle previsioni.

Questo clima teso sembra invece riflettersi nel centro sinistra italiano, diviso tra la parte riformista e quella più conservatrice.

Il panorama è abbastanza confuso. L’ala sinistra, guidata da Nicola Vendola, è molto critica a quest’accordo. Il Partito Democratico è spaccato in due anime; quella favorevole, guidata da Fassino, e quella che vede il nuovo contratto come un ricatto, guidata da Sergio Cofferati.

La stessa CGIL ha assunto una posizione differenziata al suo interno. La FIOM è a capo della protesta e da mesi sta andando al “muro contro muro” con Fiat, continuando ad isolarsi. Susanna Camusso, leader della CGIL, pur dicendosi contraria all’accordo, ha affermato invece che nel caso di sconfitta nel referendum la Fiom debba cercare di dialogare con Fiat.

Questa confusione non aiuta certo a “calmare le acque”, con un clima che sta diventando eccessivamente teso e troppo ideologizzato.

La “partita italiana” di Fiat è molto piccola, se confrontata con i problemi che l’azienda deve far fronte nei prossimi anni.  Questo elemento sembra che una parte del sindacato e della politica non l’abbia ancora capito.