La partita per la Casa Bianca si gioca nei Purple States
06 Giugno 2008
Immaginate il tabellone del Risiko con obiettivi da conquistare e posizioni da difendere. Solo che al posto di carri armati di plastica e territori di cartone c’è in palio la Casa Bianca. La geografia conta tantissimo in ogni elezione presidenziale e quella del 4 novembre non farà eccezione. Anzi. La rilevanza del voto territoriale deriva dal complicato sistema di scelta del presidente americano, che avviene attraverso un’elezione di secondo grado. In pratica, ogni Stato (in proporzione alla sua popolazione) nomina un numero di “grandi elettori” che si riuniscono successivamente in un Collegio nazionale per eleggere il presidente. Il candidato che vince anche di un solo voto conquista tutti i “grandi elettori” in palio in un singolo Stato. Questi delegati, davvero super, sono complessivamente 538. Quindi, ne servono 270 per ottenere la chiave che apre il portone di Pennsylvania Avenue 1600. La geografia conta e fa anche brutti scherzi: può infatti succedere che un candidato ottenga la maggioranza dei voti popolari a livello nazionale, ma non quella dei grandi elettori e perciò non venga eletto. L’ultima volta è successo ad Al Gore, nelle controverse elezioni del 2000.
Fior di strateghi, nel campo di Barack Obama e John McCain, sono già all’opera da tempo per capire, mappa alla mano, dove valga la pena investire risorse, in quale Stato tentare il colpaccio aumentando il numero degli spot, in quale distretto portare il candidato a fare un comizio per togliere voti decisivi all’avversario. Tradizionalmente, i politologi americani dividono gli Stati della Repubblica stellata in due categorie corrispondenti alla tendenza elettorale: i “Blue States”, filo democratici, e i “Red States”, pro repubblicani. Guardando la cartina degli USA, con in mente questo criterio, si nota subito una prevalenza di blu sulla costa ovest e sulla costa di nordest, mentre nel cuore degli Stati Uniti spicca il rosso. Di qui il termine “red nation” per indicare l’America conservatrice. A queste due categorie, si aggiungono i “Purple States”, gli “Stati viola”, quelli cioè che sono indecisi o, che, più precisamente, nelle ultime presidenziali sono andati ad appannaggio di un partito con uno scarto massimo di 5 punti percentuali. In base a questa definizione, l’autorevole istituto demoscopico Gallup valuta in bilico i seguenti 12 Stati: New Hampshire, Pennsylvania, Ohio, Michigan, Wisconsin, Minnesota, Iowa, Florida, Colorado, Nevada, New Mexico e Oregon. La battaglia per la Casa Bianca si disputerà soprattutto in questi 12 territori.
I sondaggi degli ultimi mesi mostrano un trend favorevole ai Democratici nei “Purple States”, che il 4 novembre sembrerebbero più propensi a diventare blu che rossi. Tuttavia, i prossimi 5 mesi potrebbero riservare molte sorprese. Uno dei maggiori esperti di flussi elettorali, Michael Barone, ha affermato che quest’anno si può anche “buttare la mappa degli Stati blu e rossi”. Se, infatti, è vero che tra le presidenziali del 2000 e quelle del 2004 solo tre Stati hanno cambiato colore (Iowa, New Hampshire e New Mexico), per le elezioni di quest’anno Barone non esclude una possibile rivoluzione della geografia elettorale. Il politologo consiglia quindi a McCain e Obama di non abbandonare preventivamente nessuno Stato, anche quelli che nelle ultime elezioni hanno scelto un partito con uno scarto maggiore del 5 per cento.
Guardando più da vicino le sfide in alcuni Stati chiave, è facile prevedere che molti sforzi verranno impiegati da Obama e McCain per aggiudicarsi l’Ohio (che nel 2004 consegnò la vittoria a Bush) e la Florida (che nel 2000 aprì le porte della Casa Bianca all’ex governatore del Texas). In Florida sono in palio ben 27 delegati o grandi elettori. McCain parte favorito nei sondaggi ed ha dalla sua l’appoggio del popolare governatore repubblicano Charlie Crist. Inoltre, la comunità cubana di Miami non ha gradito alcune dichiarazioni “aperturiste” di Obama nei confronti del regime castrista. In Ohio, la sfida per i 20 delegati presidenziali è apertissima. In questo Stato (governato da un Democratico) si è fatta particolarmente sentire la crisi economica. La “working class” avrà perciò un ruolo decisivo nel voto del 4 novembre. Nelle primarie democratiche i “colletti blu” hanno votato più volentieri Hillary che il senatore dell’Illinois. Resta dunque l’incognita se a novembre questi voti si trasferiranno automaticamente su Obama. Altro scenario importante è il Michigan (17 delegati presidenziali). Anche in questo caso, come in Ohio (e Pennsylvania), il primo punto in agenda è l’economia. Molti operai non sembrano aver gradito l’affermazione di McCain secondo cui “alcuni posti di lavoro che hanno lasciato il Michigan non vi faranno più ritorno”. Il populismo anti-NAFTA (l’accordo commerciale nordamericano) di Obama potrebbe dunque venirgli utile di qui a 5 mesi.
Anche uno Stato tradizionalmente in mano ai repubblicani, come la North Carolina, diventa quest’anno campo di battaglia. Il 21 per cento della popolazione è afro-americana, Obama spera dunque di avere qualche chance il 4 novembre. Ci sono poi tre Stati occidentali che rientrano nella definizione di “Purple States”: Nevada, Colorado e New Mexico. Nel primo Bush ha vinto di misura, ma questo Stato ha eletto il capo dei senatori democratici, Harry Reid. In Colorado, i repubblicani hanno prevalso nelle ultime presidenziali. Tuttavia, questo Stato, che nel 2006 ha eletto un governatore democratico, sta diventando viola ed è perciò considerato un obiettivo alla portata di Obama. Simile la condizione del New Mexico, che ha scelto Bush, ma ha eletto governatore il democratico ispano-americano Bill Richardson.
I sogni proibiti di McCain, che gli garantirebbero un successo clamoroso sono il Minnesota e soprattutto la California. Nel primo Stato (10 grandi elettori), i repubblicani non vincono un’elezione presidenziale dal lontano 1972. Tuttavia, quattro anni fa Kerry ha prevalso con tre soli punti percentuali di distacco su Bush. Inoltre, il Grand Old Party ha deciso di tenere la convention proprio in questo Stato, a Minneapolis. Last but not least, John McCain potrebbe scegliere il governatore del Minnesota, Tim Pawlenty, come suo vice nel ticket repubblicano. C’è infine la California da sempre un bastione del partito dell’Asinello. I Democratici hanno un vantaggio di circa dieci punti sugli avversari, ma 55 delegati presidenziali (è lo Stato più popoloso) sono un bottino troppo allettante per rinunciarvi in partenza. McCain spera nel voto degli indipendenti e dei Latinos californiani che guardano con favore alle sue posizioni moderate in tema di immigrazione. Nel Golden State, poi, l’eroe di guerra McCain può contare sull’appoggio di un supereroe di celluloide, il governatore Arnold Schwarzenegger.