La paura dei cinesi avvicinerà la Russia a Stati Uniti e Ue

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La paura dei cinesi avvicinerà la Russia a Stati Uniti e Ue

La paura dei cinesi avvicinerà la Russia a Stati Uniti e Ue

12 Dicembre 2007

I rapporti tra Stati Uniti, Russia ed
Europa sono al centro di quella che appare sempre più una partita geopolitica
di importanza cruciale.

Uno sguardo alle politiche economiche
internazionali della Russia può certamente servire come lente interpretativa
per capire le dinamiche di questi giorni.

Quando, finita l’era Eltsin, salì al
potere Putin, gli analisti politici ed economici occidentali non erano certi di
quale sarebbe stato l’indirizzo della nuova Russia.

Fino ad allora, infatti, al crollo del
Patto di Varsavia era seguita una rapida spartizione dell’economia russa tra
interessenti autoctoni (oligarchi) e stranieri (investitori di ogni genere), e
il Cremlino unicamente in un ruolo da notaio tra ratifiche e prese d’atto.

E’ stata l’affermazione di un uomo del
KGB fattosi le ossa in Germania – a diretto contatto con lo sfarinamento
dell’apparato sovietico – a frenare prima, e invertire poi la tendenza in atto.
La si giri come si vuole, l’avvento di Putin ha proiettato la Russia in una politica di
auto-affermazione politica ed economica.

Una tendenza in parte inasprita dalla
scelta iniziale americana di negare a Mosca un posto al sole tra le
superpotenze mondiali, appoggiando la rivoluzione arancione in Ucraina e costellando
truppe yankee in regioni di lingua
russa.

La risposta non si è fatta attendere.

Prima, sul piano politico
internazionale, con la complicità di Schroeder e Sarkozy, e la condanna di
grosse fette di comunità internazionale all’intervento in Iraq.

Poi, sul piano economico, con il
diktat nei prezzi dell’energia e il conseguente rimpinzamento delle casse statali.
Già, l’energia. Non c’è bisogno di essere grandi economisti o raffinati analisti
di banca d’affari per rendersene conto: i titoli dei giornali di questi giorni
sono piuttosto indicativi al riguardo. In questo settore, gli occhi degli
osservatori di mezzo mondo sono puntualmente puntati a Est, al di là di quello
che una volta era il confine tra blocco comunista e mondo occidentale.

E i contratti plurimiliardari in
Marocco e Algeria che Sarkozy ha portato a casa questi giorni non sono che un magro
contraltare a quanto sta accadendo centinaia di chilometri a Est. Dove immense pipelines agganciano l’Europa a mamma
Russia, in un abbraccio del Vecchio Continente a Mosca. E dove finora una
possibile alternativa è rappresentata solo dal progetto “Nabucco”, con un
metanodotto che passa dalla Turchia per andare a infilarsi da qualche parte non
meglio definita nel Mar Caspio (la bavarese RWE, parte attiva del progetto,
confida probabilmente in un Iran meno incarognito di adesso, altrimenti è
pronta la pista del Turkmenistan).

E tuttavia, quello che al momento pare
più uno strumento di ricatto nei confronti di Europa e Stati Uniti, potrebbe
rivelarsi il suo esatto opposto. La ragione – a detta di autorevoli scenaristi
– è semplice: di fronte alla sete crescente di energia della Cina, i depositi
di gas e petrolio della Siberia sono un appetitoso boccone a pochi chilometri
dal confine cinese.

Naturale, quindi, che la Russia, incapace – da sola
– di far fronte alla minaccia cinese, abbia tutto l’interesse, per giunta in
tempi ragionevolmente brevi, a stabilire buoni rapporti con Europa, Stati
Uniti, India e Giappone.