
La piazza del Black Lives Matter chiede lo ius soli (e le Sardine abboccano)

09 Giugno 2020
In Italia lo zelo multiculturale e multietnico va talmente oltre l’immaginabile da aver fatto sorgere, qui e là per la Penisola, persino dei presepi con la Sacra famiglia di colore. Eppure, anche qui, non sono mancate le manifestazioni del movimento Black Lives Matter in varie città. A Roma, in particolare, da Piazza del Popolo è stato rispolverato un mantra del progressismo nostrano, lo ius soli. La richiesta di una riforma del meccanismo di acquisizione della cittadinanza per automatismo alla nascita sul nostro territorio si è alzata dalla piazza, ed è stata subito raccolta dalle Sardine (ma non si erano messe in sonno?) e da Leu. Qualche giorno fa, durante la presentazione del suo libro, lo stesso Matteo Renzi, per definire le sue differenze nei confronti di Salvini, aveva buttato là un “noi siamo quelli dello ius culturae”. Che presuppone il completamento di un ciclo scolastico. Dunque, non un automatismo come lo ius soli, ma quasi, considerando lo stato pietoso in cui è la scuola italiana e l’ormai totale abbandono di qualsiasi criterio di merito. Tutti promossi, tutti nuovi italiani. Una cittadinanza più facile per gli immigrati di seconda generazione è il vecchio sogno della sinistra, nelle sue varianti post comunista e liberal, per realizzare l’obiettivo ideale di una società multiculturale e, soprattutto, per cercare di ampliare il proprio bacino di voti. Tuttavia, mai momento fu più sbagliato. Avvicinandosi una crisi economica di portata immane, invocare riforme divisive non è una buona idea. Tanto più di fronte alla circostanza che, se peggiora il quadro dell’occupazione, aumentano gli inattivi, crescono i poveri, diminuisce il potere d’acquisto delle famiglie, i contraccolpi peggiori si riflettono nei quartieri più disagiati, nei quali la convivenza tra italiani e stranieri conosce le frizioni più critiche. E dove si verifica una condivisione di strumenti di welfare che, in situazioni di particolare criticità, crea una sorta di competizione che non aiuta l’integrazione. Se a tutto questo dovessimo sommare anche la cittadinanza automatica sarebbe un detonatore per le tensioni. Ma al di là dell’aspetto sociologico, c’è un’altra sfumatura che vanifica la richiesta da Piazza del Popolo.
Se guardiamo alla mobilitazione del movimento Black Lives Matter nella sua globalità (è quello che chiedono i promotori, propugnando la lotta universale per i diritti), vediamo che un po’ ovunque gli attivisti chiedono l’abbattimento di statue e simboli di Storia Patria, vedendo in questo un’affermazione simbolica dei loro diritti. Negli Stati Uniti se la sono presa con il monumento equestri del Generale Lee a Richmond e a Philadelphia con la statua di Frank Rizzo, che fu sindaco “legge e ordine” della città a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Gli attivisti ne hanno chiesto la rimozione, ottenendo l’assenso dei sindaci democratici. In Inghilterra è stata buttata giù una statua raffigurante Edward Colston, mercante di schiavi, ed è stata imbrattata la statua di Winston Churchill (chissà senza di lui quale sarebbe stato il livello dei “diritti” nell’Inghilterra occupata dai nazisti). In Belgio sono stati imbrattati monumenti di Leopoldo II, il re del colonialismo.
Dunque, il Black Lives Matter si pone come movimento oscurantista, che vuol dare di bianchetto sulla storia dei Paesi, deturpando una memoria che, per quanto complessa e popolata anche di figure controverse, è tale solo se rimane intatta. Perché segna l’identità di un Paese. Abbracciare quell’identità, quella storia, è proprio il senso della cittadinanza. Chiedere di essere cittadini di un Paese da un lato volendo cancellarne la storia dall’altro non ha molto senso, è un cortocircuito. A meno che non si consideri la cittadinanza una mera statuizione burocratica. A queste due logiche, contradditoria la prima e distruttiva la seconda, sarebbe subordinato lo ius soli. Nell’uno e nell’altro caso, per dirla all’americana, “no way”. Non si passa.