La pizza napoletana diventa Stg, ma rimane dorata come da tradizione

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La pizza napoletana diventa Stg, ma rimane dorata come da tradizione

25 Febbraio 2010

Italiani? Pizza e mandolino. A sfatare il vecchio mito-stereotipo ci pensa il Comitato per La Tutela e la Valorizzazione della pizza. Da oggi entra infatti in vigore la denominazione europea per la Pizza Napoletana STG (specialità tradizionale garantita). Tutte le pizzerie che vogliono produrre e esporre il marchio “Pizza Napoletana STG” dovranno perciò adeguarsi e iscriversi all’organismo di controllo, l’Istituto Mediterraneo di Certificazioni Agroalimentari. Non più pizza e mandolino quindi, ma solo pizza stg, in attesa che anche il mandolino acquisisca una certificazione di qualità.

In nostro soccorso, che mangeremmo anche un mattone se ce lo mettessero nel piatto, arriva pure la “Disciplinare di produzione della specialità tradizionale garantita pizza napoletana” in cui sono indicate le caratteristiche che questo prodotto deve avere. La pizza – per non essere fuorilegge – dovrà essere caratterizzata da un cornicione rialzato, di colore dorato, morbida al tatto e alla degustazione.

Da un centro con la farcitura, dove spicca il rosso del pomodoro, cui si è amalgamato l’olio, si allagherà verso l’esterno (a seconda degli ingredienti) il verde dell’origano e il bianco dell’aglio; il bianco della mozzarella a chiazze più o meno ravvicinate e infine il verde del basilico in foglie, più o meno scuro per la cottura. Ma non ci possiamo accontentare di guardare questa nuova specialità protetta, dobbiamo assaggiarla.

La consistenza dovrà essere morbida, elastica e piegabile (niente di meglio che mangiare una pizza intera piegata in 4). Il prodotto si presenterà così morbido al taglio; dal sapore caratteristico, sapido, derivante dal cornicione, che presenta il gusto del pane “ben cresciuto e ben cotto”, che si mescolerà “al sapore acidulo del pomodoro” e all’aroma, dell’origano, dell’aglio, del basilico e al sapore della mozzarella cotta.

Da golosi quali siamo abbiamo poi sempre saputo dell’importanza, per la buona riuscita di una pizza, degli ingredienti. E la Disciplinare ci dà ragione: le materie prime di base sono poche e selezionate: farina di grano tenero tipo“00” (con l’eventuale aggiunta di farina tipo “0”), lievito di birra, acqua naturale potabile, pomodori pelati e/o pomodorini freschi, sale marino o sale da cucina, olio d’oliva extravergine. A pancia piena, una volta terminata la nostra “specialità”, ci siamo chiesti chi sia stato il benefattore che ha inventato un piatto tanto semplice quanto universale.

La storia parte da lontano. Le prime attestazioni scritte della parola "pizza" risalgono al latino volgare di Gaeta nel 997, ma dal XVI secolo, a Napoli, ad un pane schiacciato venne dato il nome di pizza, che era però solo un utensile da fornaio, una sorta di pasta usata per verificare la temperatura del forno. Nel giugno 1889 poi, per onorare la Regina d’Italia Margherita di Savoia, il cuoco Raffaele Esposito creò la "Pizza Margherita", diventando di fatto il nostro personaggio storico preferito.

Il discorso è leggermente diverso per la “Pizza Napoletana”. Di lei si inizia a parlare tra il 1715 e il 1725. Le prime pizzerie comparvero a Napoli nel corso del XIX secolo e fino alla metà del XX furono un fenomeno esclusivo di quella città. A partire dalla seconda metà del ‘900 si sono invece diffuse ovunque nel mondo. E’ interessante notare come la “gola” travalichi i confini culturali e gastronomici e spesso persone che neanche conoscono la collocazione geografica della città di Napoli conoscono invece il prodotto in argomento. Ogni storia ha però i suoi lati oscuri.

Non poteva mancare la polemica. Il 4 febbraio, quando a Napoli si è festeggiato il lieto evento, il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Luca Zaia non era presente. Ai partenopei non è andato giù che il ministro "sia andato da McDonald’s e non sia venuto qui, come promesso, per festeggiare il marchio Stg", ha detto Francesco Emilio Borrelli, ex assessore all’Agricoltura della Provincia di Napoli. Ecco anche perché, oltre a pizze Margherita e Marinara, è stata sfornata anche la ‘pizza padana’, o meglio McDonald’s, vale a dire a base di hamburger e patatine. In pratica un attentato ai nostri stomaci, speriamo che il ministro cambi idea e voli a Napoli per bloccare questo “scandalo” del gusto prima che qualcuno possa pensare anche solo di assaggiare un tale scherzo della natura.

Qualche dubbio ci resta. In che modo verranno coinvolti i "pizzaioli"? Chi vigilerà sulla corretta applicazione della disciplinare? Non conosciamo la risposta a queste domande anche se ci piacerebbe. Nel frattempo ci possiamo proporre come controllori di qualità in giro per le varie pizzerie napoletane, e anche se sappiamo che si tratta di uno sporco (e pomodoroso) lavoro, qualcuno dovrà pur farlo.