La politica all’ombra di Padre Pio

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La politica all’ombra di Padre Pio

La politica all’ombra di Padre Pio

31 Maggio 2016

In questa campagna elettorale, incontrando i cittadini nella zona di Foggia, la tappa più significativa del “giro della Capitanata” si ferma a San Giovanni Rotondo: il paese di Padre Pio, divenuto nel frattempo San Pio. Poco più di una masseria quando il frate cappuccino vi giunse proveniente da Pietralcina, oggi  abitato da circa 20mila anime.

La visita del Paese è una immersione nelle ragioni primarie che giustificano un impegno politico. San Giovanni Rotondo, infatti, è una capitale: della spiritualità certamente, ma anche della sanità. La Casa Sollievo della Sofferenza, inaugurata da Padre Pio nel 1957, è struttura d’avanguardia non solo per la Puglia, non solo per il Mezzogiorno ma per tutta la nazione.

Qui ci sono le sale operatorie più attrezzate e tecnologicamente avanzate del Paese. Qui, in questo contesto tanto difficile da raggiungere, lontano da aeroporti e nodi ferroviari importanti, è nato un centro di ricerca sulle staminali che attrae finanziamenti e ricercatori da tutto il mondo.

La prima lezione che se ne trae riguarda la forza delle idee. Quell’ospedale modello che non sembra un ospedale, che non puzza di ospedale, che a chi lo visita incute sollievo anziché afflizione, deriva dall’idea di un frate contadino maturata in una cella di cinque metri per due. E’ infatti la concezione di carità, umanità, semplicità che San Pio ha concepito e messo per iscritto la matrice da cui tutto è scaturito.

Qui si coglie una seconda lezione per chi fa politica. Quell’ospedale – una sorta di miracolo che si rinnova ogni giorno – ci insegna che a valere è solo ciò che dura e che il tempo valorizza perché, sulla scorta di un lascito originario, sa rinnovarsi e crescere. E’ proprio questa l’impressione che riceve chi visita La Casa Sollievo della Sofferenza, già solo concentrandosi sui suoi passi.

Il pavimento, consumato dall’andare e dal venire di ammalati, familiari, medici, a un certo punto sembra levigarsi e acquistare nuovo smalto. E’ il segno di un passaggio di fase, di un ampliamento, del compimento di un’opera che, in realtà, è stata nei suoi quasi sessant’anni di vita un cantiere in perenne evoluzione.

La stessa evoluzione che, all’esterno, lega in un unico contesto l’originaria chiesetta dei cappuccini, la vecchia basilica e la faraonica opera di Renzo Piano alla quale si accede attraverso una spianata tempestata da olivi che richiamano, nemmeno troppo allegoricamente, l’orto del Getsemani.

Chi, arrivando da Roma, la vede per la prima volta, viene colpito da un tratto architettonico che  rimanda all’auditorium realizzato dallo stesso architetto nella capitale. Sono le linee, le coperture, la concezione dello spazio esterno che – al di là delle tante differenze – mettono naturalmente in connessione le due opere.

A San Giovanni, però, tutto risulta più intenso, più vivo, più profondo perché ispirato da un principio che nella sua traduzione civile rischia invece d’inaridirsi. Il confronto ti fa pensare alla forza dei princìpi primi e, ancor di più, a come modernità e spiritualità – che la vulgata laicista vorrebbe inevitabilmente scisse – non solo possono convivere ma in realtà si esaltano vicendevolmente.

Lo fanno nel chiuso di un ospedale; in uno spazio di ricerca che da un piccolo paese della Capitanata si rivolge al mondo, in un’opera architettonica che sposta l’orizzonte verso uno spazio infinito piuttosto che limitarlo a un contesto civilmente ristretto.

Non è certo facile, dopo l’intensità di una visita come questa, rituffarsi nell’agone della politica. Anche perché è proprio il contesto e la ricchezza di ciò che qui è nato in così poco tempo che ha sempre fatto della lotta politica a San Giovanni Rotondo una “specialità” che prevede quasi solo colpi sotto la cintola. Qui la fine anticipata della consiliatura è stata la regola, non l’eccezione!

Dopo tanto tempo Luigi Pompilio, ingegnere libero professionista eletto sindaco nel 2011 alla testa di una coalizione di centrodestra, è riuscito a smentire quella regola. Portare a termine il mandato per lui è stata un’impresa che oggi in molti vorrebbero fargli pagare.

Pompilio non è sceso a patti. Ha subìto il passaggio di suoi ex alleati nella coalizione avversa. Ha accettato di mettersi di nuovo in gioco in un’elezione dall’esito incerto. Ha rilanciato la sfida puntando sulla continuità dei princìpi ispiratori e, intorno alla sua lista civica, ha raccolto nuove energie tra le quali quelle dei candidati del movimento Idea.

Lo abbiamo seguito in una manifestazione elettorale. Parlava di durata, di una politica che non vale la pena proseguire se avulsa dai princìpi fondamentali che la ispirano. Noi sapevamo assai poco della lotta politica più prettamente amministrativa. In quel discorso, però, ci è parso di cogliere qualcosa dell’aria che avevamo respirato prima, visitando l’ospedale, il centro di ricerca, la basilica.

La distanza tra quel miracolo e la miseria della lotta politica ci è sembrata accorciarsi. Non ci è più apparsa incolmabile. Perché vi era, in quel discorso, qualcosa di antico e per questo d’incredibilmente moderno. Forse le urne potranno decretare che il tentativo di far prevalere i princìpi sugli interessi sia ancora troppo rivoluzionario rispetto al nostro tempo.

Ma mentre formulavamo questo pensiero c’è venuto in mente che, proprio lì, in quel Paese in tumultuosa crescita che un tempo non lontano era poco più di una masseria, c’è stato qualcuno al quale il tempo continua a dare ragione. Vale la pena provarci!