La politica costa  ma il ddl sui tagli va in vacanza

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La politica costa ma il ddl sui tagli va in vacanza

17 Luglio 2007

E adesso anche i presidenti di Camera e Senato si mettono a
litigare. Non bastavano i rappresentanti del Governo e della maggioranza ora
anche le Istituzioni si beccano a vicenda. Ed a pagarne le conseguenze stavolta
è il ddl sui tagli dei costi della politica che con tutta probabilità sarà rimandato
a settembre. Questo l’esito di una giornata, quella di ieri, che avrebbe dovuto
salutare l’inizio della discussione sul ridimensionamento delle spese dei due
rami del Parlamento e che invece ha visto Bertinotti e Marini litigare per contendersi
lo scettro del presidente più morigerato. Il tutto condito dall’irritazione del
primo nei confronti del secondo.

Uno stop che rischia di alimentare nuove
polemiche che andrebbero ad aggiungersi a quelle che in queste settimane sono
circolate proprio riguardo i costi della politica e le spese notevoli del
nostro Parlamento. Se poi si considera che questa è la Legislatura dove Camera
e Senato lavorano di meno, è evidente il colpo all’immagine delle Istituzioni.
In effetti che non sarebbe stata giornata del tanto auspicato “taglio alle
spese” lo si era capito già dal primo mattino, quando l’ex segretario di
Rifondazione Comunista aveva rinviato l’Ufficio di Presidenza della Camera che
avrebbe dovuto dare il via libera alla discussione del ddl. Ed invece la
decisione di spostare la discussione a data da destinarsi. Il rinvio con tutta
probabilità sarà a settembre, sempre che non intervengano novità
dell’ultim’ora. Ma per adesso rimane il rinvio. Il motivo ufficiale sarebbe il
ritardo del Senato accumulato per la discussione sulla riforma della giustizia
e che avrebbe portato a posticipare di qualche giorno per garantire la
presentazione contemporanea nei due rami del ddl.

In realtà molti giurano che
le cose stiano diversamente e che ci sia di mezzo l’articolo uscito su Repubblica. Nel “pezzo” si faceva
riferimento ad un’accelerazione impressa dal Senato alla discussione del ddl ed
a tagli più generosi. Una ricostruzione che suonerebbe come uno schiaffo alla
Camera. Da qui è partita la reazione di Bertinotti che ha fatto saltare
l’Ufficio di Presidenza, che avrebbe dovuto licenziare il provvedimento. Una
decisione successiva ad una ruvida telefonata che l’inquilino di Montecitorio
avrebbe fatto a Marini. Al centro del colloquio proprio l’articolo di Repubblica che secondo gli uomini di
Bertinotti sarebbe stato partorito proprio dai vertici di Palazzo Madama.  Un comportamento che molti hanno decifrato
come la volontà di far apparire il Senato più virtuoso rispetto alla Camera e quindi
pronto da subito a fare sacrifici. E non a caso nella telefonata Bertinotti si sarebbe
lamentato con Marini per una “mossa inopportuna” responsabile di “non creare un
clima di collaborazione”. Il tutto per chiedere un intervento “riparatore” al
presidente del Senato tale da portare ad “una sintonia tra Camera e Senato” e
ad “una deliberazione che è già maturata e che non può essere oscurata da
qualche incursione inelegante, sbagliata e senza fondamento”.

Parole pesanti e
dure poi confermate in una conferenza stampa dove Bertinotti ha precisato “la
sobrietà di stile” della Camera e del “lavoro di lima” che dall’inizio della
Legislatura sta mettendo a punto sui conti di Montecitorio.  Dal canto suo nemmeno Marini è rimasto
silente e proprio nella serata è ritornato sull’argomento, cercando di gettare
acqua sul fuoco delle polemiche: “Stiamo facendo un lavoro serio per ridurre i
costi del Parlamento” ha esordito e poi continuando: “Sono d’accordo con
Bertinotti sulla necessità di limitare i costi. Abbiamo stabilito regole nuove
e più severe per i vitalizi dei parlamentari eliminando in primo luogo la
possibilità di riscattare, pagando, le legislature non terminate”. La
conclusione di una lunga giornata, ma che non elimina le tensioni che invece
rimangono. Come i nodi sul ddl che riguardano soprattutto la data di entrata in
vigore delle norme. Punto su cui le due Camere sembrano divergere, con il
Senato favorevole all’applicazione immediata e Montecitorio orientata a
posticiparla alla prossima Legislatura.

Ma a far discutere c’è anche il calcolo
fatto sulle nuove tabelle che se da un lato prevedono tagli dall’altro registrano
una serie di aumenti. E’ il caso dei vitalizi, che se passasse la proposta
inserita nel ddl chi avrà maturato due o tre Legislature percepirà più di
quanto prende oggi, con un aumento delle indennità del 2 per cento. Sul fronte
dei tagli, invece, rimane la proposta di ridurre del 5 per cento l’assegno per
i parlamentari di una sola Legislatura  mentre
il vitalizio per chi ha tre Legislature sarebbe fissato al 60 per cento degli
emolumenti e non più l’80. Infine decadrebbe anche la regola dei due anni, sei
mesi ed un giorno (621) per percepire il minimo della pensione parlamentare che
passerebbe ai cinque, dieci o quindici anni e cioè all’intero periodo della
Legislatura. Ma almeno per il momento il ddl è rimandato a settembre.