La politica sull’auto di Obama è un costoso esempio di statalismo

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La politica sull’auto di Obama è un costoso esempio di statalismo

03 Giugno 2009

Lo scorso dicembre, in un’economia tanto, tanto diversa, l’allora Ceo Rick Wagoner prefigurò per i contribuenti il terrificante costo di 100 miliardi di dollari qualora General Motorsd non fosse stata salvata dal governo. Ebbene, GM venne salvata in dicembre e poi in marzo, e adesso il governo federale la salverà una terza volta in una bancarotta programmata che è gia costata 50 miliardi di dollari, solo per iniziare. Benvenuti alla Obama Motors, e a quello che ha tutta l’aria di essere un lungo, costoso e infelice esercizio di produzione automobilistica statale.

I contribuenti hanno finora tirato fuori dalle proprie tasche quasi 20 miliardi di dollari, in quello che si supponeva fosse un prestito secondo tassi di mercato ma che poi, sotto le ristrutturazioni forzate dal Tesoro, è diventato per la maggior parte un acquisto di azioni della nuova GM. I federali stanno inoltre tirando su 30,1 miliardi di finanziamenti in conto "debtor in possession" (figura prevista nell’ordinamento Usa per un’azienda che continui a operare sotto il Chapter 11; trattasi di soggetto "persona o società" che, pur avendo portato i libri contabili in tribunale resta proprietaria di attività sulle quali i creditori vantino diritti, ndt) e alla fine, di fatto, nazionalizzeranno la un tempo poderosa casa automobilistica rilevandone il 60 per cento della proprietà (e non stiamo tenendo conto dei 12 miliardi e mezzo necessari a salvare GMAC, il braccio finanziario di GM). Il governo canadese andrà avanti nell’acquisizione del 12 per cento della nuova GM, la UAW (United Automobile Workers, il sindacato delle maestranze del settore automobilistico, ndt) rileverà all’incirca il 17,5 per cento e gli sventurati titolari di buoni dovranno accontentarsi del 10 per cento.

Il Tesoro di Obama sta raffigurando quanto sopra come la migliore soluzione possibile al disastro che ha ereditato, in quanto lascia GM con assai minori impegni finanziari per l’assistenza finanziaria dei suoi dipendenti, uno schema di bilancio ripulito, un UAW più umile dopo aver messo da parte alcune rivendicazioni salariali, e maggiore efficienza nelle linee di produzione e nella rete di distribuzione. GM, così ci hanno detto, sarà adesso in grado di produrre utili e magari, un giorno, di restituire i soldi ai contribuenti. Se si chiudessero gli occhi e si immaginasse che i manager privati di GM fossero capaci di prendere decisioni in base soltanto a giusti criteri finanziari, ci si potrebbe anche credere.

Ma poi uno apre gli occhi. Tutte le decisioni prese dai federali a partire da dicembre indicano che è impossibile aspettarsi un management non politico. Prima hanno rimpiazzato Wagoner che, nondimeno, continuano a pagare, con il più malleabile Fritz Henderson, come Ceo, e Kent Kresa, come presidente. Quest’ultimo sa muoversi bene a Washington, ma non è mai stato testatp come realizzatore di automobili di largo consumo. Poi il Tesoro ha manganellato i detentori di bond Chrysler e GM, costringendoli ad avere qualche centesimo in cambio di ogni dollaro investito; cosa che, presumibilmente, farà sì che in futuro i risparmiatori non saranno affatto ansiosi di prestare i loro soldi alle due compagnie.

Poi c’è l’accordo sindacale approvato dalla UAW la scorsa settimana, che va in qualche maniera verso una riduzione dei costi ma che probabilmente non è ancora abbastanza per rendere la nuova, più piccola GM competitiva. Il nuovo accordo semplifica regolamenti in fabbrica e mansioni, ma non menziona riduzioni nelle paghe orarie, né nelle pensioni e nell’assistenza medica per i lavoratori attivi. Tale accordo dovrà inoltre essere rinegoziato tra due anni, quando l’amministrazione Obama sarà alle prese con la campagna elettorale per la rielezione e dovrà scegliere tra la soddisfazione del "Partito del lavoro" e i rischi di cui sono stati caricati contribuenti e azionisti. Chi credete che avrà la precedenza alla Casa Bianca?

Le concessioni della Casa Bianca alla UAW restringono inoltre la possibilità di importare le macchine più piccole ed ecologiche che la GM già sta producendo oltreoceano. Lo scorso fine settimana il presidente del sindacato, Ron Gettelfinger, parlando al "NewsHour" della PBS (Public Broadcasting Service, ndt), se ne è uscito con la diretta ammissione secondo cui "noi, piuttosto francamente, abbiamo fatto pressioni sulla Casa Bianca, sulla task force per l’auto, sulla compagnia" per fermare le importazioni di auto di piccola cilindrata prodotte all’estero. Nel quadro della ristrutturazione, GM sta inoltre vendendo le proprie attività sotto marchio Opel in Europa, e secondo quanto riportato dal Washington Post una delle condizioni poste dal Tesoro alle controparti interessate è che il nuovo padrone di Opel dovrà restar fuori dagli Stati Uniti, e persino dalla Cina, dove la quota di mercato di GM è considerevole.

Questo è protezionismo puro. E’ anche cosa degna del più esemplare dei cartelli, e meriterebbe un procedimento per violazione delle regole antitrust se fosse stata fatta da privati. Ma i benefici per GM sono illusori, perché i limiti all’import significano che la compagnia dovrà spendere ancora di più per riconvertire i propri stabilimenti negli Usa alla produzione delle piccole automobili ecologiche richieste dal presidente Obama e dal Congresso. Nessuno sa se gli americani compreranno quelle automobili, ammesso e non concesso che GM riesca a produrre negli Stati Uniti dei modelli competitivi.

L’amministrazione promette di mantenere una mano leggera sulla proprietà, ma è solo questione di tempo prima che il Congresso inizi a gestire anche nei particolari le scelte industriali di GM. Qualsiasi decisione volta a chiudere uno stabilimento verrà ferocemente criticata, un po’ come accade quando si decide di chiudere una base militare. E come la si metterebbe quando si tratterà di acquistare pezzi da fornitori stranieri? Saranno banditi anch’essi se il dottor Gettelfinger ne farà richiesta, anche se i costi fossero più bassi? I manager e i direttori di GM avranno un occhio puntato ad incrementare la ricchezza degli azionisti, ma l’altro sarà rivolto verso i loro padrini politici a Washington.

L’amministrazione Obama sta facendo filtrare alla stampa la tesi secondo cui la sua quota in GM potrebbe cominciare a tornare sul mercato tra un anno o al massimo diciotto mesi, e che si augura di essere completamente uscita da questo affare nel giro di cinque anni. Ma anche assumendo che gli investimenti pubblici si fermino agli attuali 50 miliardi di dollari, GM dovrebbe valere almeno 80 miliardi di dollari affinché i contribuenti raggiungano il break-even con il loro 60%. Come termine di paragone, si tenga conto che la capitalizzazione di GM al suo picco più recente (era il 2000) fu di soli 56 miliardi di dollari.

La maggior corruzione si avrà quando il governo cercherà di favorire GM sulla Ford e sulle altre concorrenti che non si trovino sotto la tutela dello stato. La legge TARP contiene a questo riguardo un esempio illuminante, dove concede 7.500 dollari di credito fiscale a coloro che acquistino la nuova auto elettrica targata GM, la Chevy Volt. C’è da aspettarsi favoritismi ancora maggiori, inclusi altri generosi sussidi per chi acquista "green cars" qualora i consumatori restassero indifferenti al loro fascino.

A Obama piace definirsi un uomo pragmatico che sceglie una soluzione governativa solo quando non esistono soluzioni migliori. Adesso, resuscitando una politica industriale che persino la Francia ha da lungo tempo abbandonato, il presidente si è fatto numero uno effettivo della GM. La nostra previsione è che alla fine la cosa non gli piacerà, quasi quanto non piacerà ai contribuenti.

Tratto da The Wall Street Journal

Traduzione di Enrico De Simone