La post-verità degli scienziati
04 Gennaio 2017
“Qui ha diritto di parola solo chi ha studiato, e non il cittadino comune. La scienza non è democratica”: si conclude così un post di Roberto Burioni, un medico che sta conducendo la sua personale e meritoria lotta contro le false notizie sui vaccini, che li criminalizzano. Burioni, che è anche professore di microbiologia e virologia all’università San Raffaele di Milano, oltre ad aver pubblicato un libro sul tema, ha aperto una pagina Facebook in cui mette a disposizione del pubblico informazioni scientificamente documentate, rifiutando il confronto con chi non ha conoscenze pari alle sue, perché “la scienza non va a maggioranza”, e due più due farà sempre quattro, a prescindere dalla opinioni delle persone. Giusto?
Premetto che sul merito della questione vaccinazioni sono d’accordo con Burioni, ma non è di questo che voglio parlare, bensì della supremazia etica e conoscitiva che il professore rivendica per “chi ha studiato”. Caro professore, per farmi prendere in considerazione da lei, confesserò che di mestiere insegno chimica-fisica all’università, e qualcosina, magari, anch’io la so. Una posizione come la sua presuppone che tutti gli scienziati diano sempre la medesima versione del dato scientifico. Il che, purtroppo, non è vero.
Le porto qualche esempio: molti scienziati hanno supportato, ai referendum del 2005 contro la legge 40 sulla fecondazione assistita, la necessità della ricerca che distrugge gli embrioni, in particolare la cosiddetta “clonazione terapeutica”. Ma nessuno di loro aveva mai spiegato un fatto, che pure era oggettivo e a loro stessi noto: al mondo nessuno era mai riuscito a produrre cellule staminali embrionali umane clonate. E infatti adesso quella strada è stata abbandonata. Eppure all’epoca del referendum i firmatari parlavano di quel tipo di ricerca come indispensabile per il futuro dell’umanità, e soprattutto come se fosse già stata avviata: nessuno aveva mai spiegato che fino a quel momento neppure il primo passo verso l’obiettivo era stato fatto. E nessuno lo ha più ricordato, dopo.
Così come le chimere uomo/animale: paginate sui giornali, ovviamente a favore, e con le firme di grandi scienziati che si sono scomodati addirittura all’università La Sapienza di Roma, presentando gli studiosi inglesi che, abbattendo il tabù della creazione di embrioni ibridi umano/animali, avrebbero trovato chissà quali fantastiche terapie a patologie incurabili. Eppure un qualsiasi studente universitario di biologia sarebbe stato in grado di verificare che la ricerca non avrebbe portato a niente: era evidente dalla letteratura del settore. Ma in Gran Bretagna una legge è stata cambiata per fare embrioni ibridi umano/animali, autorevoli comitati e bioeticisti (anche italiani) hanno dato la loro “benedizione”, e quando gli studiosi inglesi di cui sopra hanno addirittura cambiato mestiere perché nessuno ha finanziato una ricerca evidentemente senza sbocchi, nessun “autorevole scienziato” ha fatto mea culpa per la bufala che aveva contribuito a diffondere. Anche in questo caso, nessuno si è preso la briga di spiegare quanto era successo.
E potremmo continuare per un bel pezzo: il pericolo per i nati con la tecnica degli embrioni costruiti con il Dna di tre persone, l’impossibilità di sperimentare il gene editing sugli embrioni senza trasferirli in utero, ma anche gli stati di coscienza delle persone in stato vegetativo, l’efficacia della diagnosi embrionale preimpianto, e via dicendo. Tutti casi in cui “chi ha studiato” – per utilizzare un’espressione del prof. Burioni – ha letteralmente imbrogliato, e ha diffuso bufale forse più di chi non ha studiato, con l’aggravante che le bugie sono state avallate proprio dalla pretesa autorevolezza della Scienza con la S maiuscola. Questo perché non sempre i dati scientifici hanno un’unica interpretazione, e non tanto, o non solo, per una loro intrinseca ambiguità, quanto per l’onestà intellettuale di chi li presenta.
Ma anche perché gli scienziati non sono anime belle, che si ergono con purezza al di sopra delle parti. Come tutti i comuni mortali, hanno interessi da difendere, appartengono a cordate, gruppi di potere, cercano finanziamenti per le proprie ricerche – a proposito la prima bufala da combattere è quella della libertà della ricerca scientifica. I ricercatori vanno dove sono i finanziamenti, e non esistono ricerche senza soldi, al contrario: un ricercatore è giudicato da quanti soldi porta alla sua struttura di appartenenza, alla faccia della ricerca libera e indipendente. Ma soprattutto, come tutti i comuni mortali, i ricercatori hanno i propri personali convincimenti, che spesso sono filtri (quando non fette di prosciutto su occhi e orecchie) attraverso i quali non c’è dato scientifico che regga. E alla fine è soprattutto per queste ragioni che sorge una certa diffidenza nei confronti della scienza, per cui, per esempio, sempre meno persone si fidano dei vaccini nonostante l’evidenza del dato scientifico.
La fiducia che manca è proprio nei confronti di un certo modo di farsi paladini della scienza, di pretendere di essere duri e puri, al di sopra delle parti, quando evidentemente delle suddette parti si è piuttosto al di sotto, molto spesso per motivi di personale interesse o di vantaggi economici, più o meno diretti. E se è estremamente irritante l’arroganza dell’ignorante che vuole pontificare su ciò che non conosce, lo è molto di più quella di chi, in nome della indiscussa superiorità di preparazione nell’argomento, vuole imporre i propri convincimenti e la propria visione del mondo barando nel presentare le argomentazioni.
Anche “chi non ha studiato” è in grado di riconoscere questo atteggiamento, e poi ne trarrà le conseguenze, la prima delle quali è una profonda diffidenza nei confronti del mondo scientifico tutto. E’ un po’ quello che succede nel dibattito sul web e la post-verità: i cittadini ormai hanno capito quante bufale, letture di parte, censure, sono state propinate dai grandi media, giornaloni e tv. E oggi, grazie alla grande libertà offerta dalla rete, vogliono un’informazione senza mediazioni, o con mediazioni scelte dal lettore stesso. E’ un comportamento che include il rischio di informazioni sbagliate, certamente. Ma a questo rischio si risponde solo con un di più di impegno e generosità da parte di “chi ha studiato”, come scrive lei. Non certo con un arroccamento sprezzante nella propria piccola torre d’avorio.