La promozione della democrazia non è un “complotto neocon”
15 Luglio 2010
Cracovia, Polonia. Un tripudio di ghirigori d’oro impreziosisce i palchi del teatro. Sulle poltrone di velluto, di sotto, ambasciatori in sari si ammassano ad attivisti in abiti sgualciti. Sabato scorso erano in piedi solo per il discorso di Hillary Clinton in occasione del 10 ° anniversario della Community of Democracies, e dietro di lei il Segretario di Stato americano aveva una vera e propria folla. La Clinton si è per prima cosa complimentata per il suo predecessore Madeleine Albright, che una decina di anni fa ha co-fondato "la comunità" con Bronislaw Geremek, all’epoca ministro degli esteri polacco.
Poi ha parlato, non di democrazia, di preciso, ma della società civile, di quegli "attivisti, organizzazioni, congregazioni, scrittori e giornalisti che lavorano con scopi pacifici per incoraggiare i governi a fare meglio". Insieme a un governo rappresentativo e al buon funzionamento dei mercati, la società civile, ha detto la Clinton, "sottosta sia alla governance democratica che ad una prosperità generalizzata". Eppure la società civile è in pericolo, e gli attivisti sono in carcere in molti paesi, compresi alcuni che si definiscono democrazie: sono stati citati Egitto, Cina, Birmania e Zimbabwe, tra gli altri.
Dietro di me, un diplomatico kuwaitiano prende furiosamente appunti in arabo. Sui palchetti, i delegati dalla Moldavia e dalla Mongolia si sporgono in avanti, cercando di cogliere ogni parola. Ma c’era qualcuno in ascolto a casa? Ormai è questa la questione centrale, non solo per la Community of Democracies, un’organizzazione benignamente trascurata dall’amministrazione Bush e recentemente rilanciata dai polacchi, ma per tutti i fautori della "promozione della democrazia", tra cui ci sono anch’io. Negli ultimi decenni la promozione della democrazia da parte dell’America ha assunto forme diverse, dal sostegno segreto dell’amministrazione Reagan per i dissidenti anti-comunisti al rilancio di Radio Free Afghanistan nel 2002. Ma in questo momento, è un concetto in difficoltà.
Questo in parte perché – come di recente hanno detto la la Clinton ed altri – la democrazia stessa è in difficoltà. Nonostate ogni misura presa per contenerle, le autocrazie del mondo si sono molto più radicate negli ultimi dieci anni. Paesi tanto diversi tra loro come la Russia, Venezuela e Iran sono anche diventati esperti nell’uso della retorica della democrazia – un insieme di finte elezioni, partiti politici fasulli, e controllo statale delle organizzazioni della società civile – per deviare ogni pressione per il cambiamento.
Ma la promozione della democrazia è stata ingiustamente screditata dall’invasione dell’Iraq, una decisione troppo spesso ricordata niente di più che come una "insensata guerra per la democrazia" che è stata prevedibilmente sbagliata. Il successivo fallimento dell’Iraq di trasformarsi da un giorno all’altro nella Svizzera del Medio Oriente viene citato come un esempio del perché la democrazia non dovrebbe mai essere spinta o promossa da nessuna parte. Questo argomento stupido ha avuto una forte eco: da quando è diventato presidente, Barack Obama ha evitato la parola democrazia in contesti stranieri – lui preferisce "la nostra sicurezza comune e la prosperità" – come se potesse essere qualche pericoloso "bushismo".
In realtà, la promozione della democrazia non è stata inventata da una segreta cabala di neoconservatori, ma è uno strumento di lunga data usato in modo bipartisan nella politica estera dell’America, così come in quella degli occidentali, e che a volte si è sovrapposta sia con la diplomazia pubblica che con gli aiuti esteri. I tedeschi hanno utilizzato le loro fondazioni legate ai partiti politici per sostenere i democratici, soprattutto in Europa orientale; gli inglesi a volte hanno sfruttato il Commonwealth, l’organizzazione delle ex colonie britanniche e di altri, in Africa e in Asia. Noi americani tendiamo a spendere soldi per i media (Radio Free Europe e le sue propaggini moderne), per la formazione (di giudici, giornalisti e attivisti), e, sì, a volte nel finanziamento occulto dei democratici in Paesi autoritari.
Certo è frustrante – almeno per coloro che finanziano questi progetti – che nessuno di essi garantisca un successo, e che molti falliscano completamente. Le rivoluzioni possono essere invertite. I buoni dissidenti non sempre diventano buoni presidenti. Anche le democrazie più stabili richiedono una manutenzione costante, e le società divise da un amaro conflitto etnico o da uno stato di estrema povertà possono essere fragili.
Nessuno dice che questi strumenti non hanno mai funzionato – lo hanno fatto in passato, e possono farlo ancora – soprattutto se, come ha suggerito la Clinton, siamo costantemente concentrati nel sostenere la cultura della libertà di espressione e alla libera associazione, senza le quali le elezioni politiche e i partiti sono semplicemente una farsa. Non possiamo imporre la democrazia con la forza ma siamo in grado di scavalcare le Nazioni Unite e il suo corrotto Consiglio dei Diritti Umani, magari utilizzando la Community of Democracies per vigilare e indagare sugli abusi che avvengono nella società civile. Ci possiamo anche unire a quegli altri Paesi – non solo in Europa ma anche in Corea del Sud, Indonesia, o Cile – quelle democrazie più recenti a cui sta a cuore condannare gli abusi tanto da aver inviato un ministro di alto rango fino a Cracovia lo scorso week-end.
E possiamo continuare a finanziare quei programmi di formazione e le stazioni radio che un giorno potrebbero portare dei frutti. La Clinton ha annunciato l’intenzione dell’amministrazione di contribuire con 2 milioni di dollari per un fondo che dovrebbe provvedere a fornire avvocati, telefoni cellulari e un rapido supporto per organizzazioni civili che si battono sul campo. Non è molto – un amico ha sottolineato che alcune delle personalità presenti fra il pubblico del teatro hanno molti più soldi nei loro conti bancari – ma queste cose non devono costare molto. Del resto, anche quel livello di sostegno richiesto da qualcuno, di tanto in tanto, sta a significare che è necessario. La Clinton l’ha fatto sabato scorso, e ha ricevuto un plauso internazionale. Spero che lo ottenga anche a casa.
Tratto da Slate
Traduzione Maria Teresa Lenoci