La proposta di riforma fiscale non è chiara su un punto: il taglio delle tasse
21 Marzo 2012
Riforma del fisco in vista, per effetto della nuova delega fiscale. Ma leggendo le indiscrezioni che circolano negli ambienti vicini al governo, le novità non vanno nella direzione corretta, nonostante alcuni obiettivi dichiarati siano del tutto condivisibili. Giusto effettuare una seria riforma catastale, passando dai vani ai metri quadri, per poter disporre di una più realistica variabile di approssimazione del valore di mercato di un edificio. Giusta anche la volontà di voler eliminare le numerose tax expenditures che si annidano nei meandri del sistema tributario italiano, che violano il principio della neutralità fiscale, distorcono le scelte degli operatori economici e riducono ampiamente la base imponibile, creando il terreno fertile per la scelta di aliquote elevate.
Sarà anche un revival della strategia di Tremonti, ma l’idea di abbassare le tasse tramite un allargamento della base imponibile convince. Accettabile anche l’introduzione della carbon tax per finanziare le energie rinnovabili, dal momento che è una pratica sempre più seguita a livello europeo. Auspicabile, infine, il tanto agognato passaggio dalla tassazione diretta alla tassazione indiretta. Anche su questo punto nessuna novità, era una vecchia idea del precedente ministro. Pienamente condivisibile. Perché le imposte dirette producono più effetti distorsivi sulla crescita, in quanto, soprattutto se esse sono molto alte, disincentivano l’offerta di lavoro e di capitale. E se qualcuno si domandasse qual è il motivo per cui gli italiani lavorano "poco", o perché poche le aziende straniere non vengono ad investire nel Belpaese, una delle risposte è l’eccessiva tassazione. Da vedere anche come verrà strutturata la nuova IRI, sostitutiva dell’IRES, che dovrebbe colpire le società indipendentemente dalla loro distinzione tra società di persone e società di capitali.
I dubbi cominciano ad emergere in relazione alla copertura finanziaria per finanziare la riforma. L’idea è quella di creare un fondo di bilancio alimentato dai proventi della lotta all’evasione fiscale, mai tanto aspra come in questo periodo. L’idea potrebbe essere buona, ma il problema è che aumentare il numero degli accertamenti fiscali, come sta facendo il governo spedendo la guardia di finanza nelle località più lussuose per far prendere un po’ di paura, come dice il direttore dell’Agenzia delle Entrate Befera, ai commercianti, non necessariamente significa aumentare gli incassi. Infatti, è storicamente noto che degli accertamenti totali realizzati, solo una piccola percentuale si trasforma poi in incasso effettivo. Il resto rimane un costo amministrativo, che paradossalmente aumenta all’aumentare dell’attività inquisitoria svolta. Fermo restando, che il far prendere paura agli imprenditori, comporta una reazione controproducente, poiché si diminuisce la voglia di fare impresa ed aumenta l’avversione nei confronti dello Stato. Gli accertamenti induttivi, che si realizzano mediante una procedura seguita dagli organi amministravi, con la quale essi "deducono" da dei dati a loro disposizione la ricchezza di un individuo possono essere, se usati male, pericolosi. L’uso di redditometri e spesometri, non è necessariamente sinonimo di sicurezza nel monitoraggio dell’evasione. Si può sbagliare e non deve avvenire che gli sbagli dell’autorità fiscale ricadano sui cittadini e sulle loro scelte di consumo.
Sembra poi che dalla delega siano scomparse le famose tre aliquote tremontiane (20%, 30% e 40%), non si capisce però sostituite da quale schema alternativo. Se l’idea di una flat tax è purtroppo esclusa a priori da un governo che si dichiara in ogni caso di orientamento liberale, non sembra nemmeno plausibile la doppia aliquota che tanto piaceva a Silvio Berlusconi. L’auspicio è che i proventi del fondo anti-evasione vadano a finanziare l’abbassamento delle aliquote a tutti i livelli, nella speranza che non si ricada nel vecchio errore di voler dimostrare la bontà del sistema fiscale aumentando le aliquote più elevate, ovvero tassando maggiormente i più ricchi.
Per decenni si è fatto credere che il sistema fiscale progressivo andasse a vantaggio dell’equità sociale e di una migliore redistribuzione del reddito, per arrivare al punto di dover constatare che il sistema italiano attuale non è né equo, né solidale. Sicuramente non è efficiente. E per abbattere l’inefficienza esiste una sola soluzione: abbassare le aliquote a tutti i livelli. Arthur Laffer, consigliere economico del presidente Reagan, affermava che una riduzione delle aliquote, se queste sono particolarmente alte, comporterebbe un aumento di entrate pubbliche, per effetto dei vantaggi ottenuti in termini di crescita e, di conseguenza, di base imponibile. Purtroppo, questo approccio, che in letteratura prende il nome di supply-side, non ha mai trovato posto nella politica economica dei governi. Se è vero che questo governo è liberista come si dichiara è auspicabile che incominci a seguirlo presto.