La Rai azzera Annozero

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La Rai azzera Annozero

06 Giugno 2008

Santoro fuori dalla RAI? La voce si sparge nella giornata di ieri, complice Dagospia, che la diffonde tra un totonomine e l’altro: le ascese e le cadute nella TV di Stato, si sa, provocano inevitabilmente smottamenti nell’intero sistema radiotelevisivo, ma a complicare le cose ci si è messo stavolta anche l’esodo in corso da La 7. Tra i profughi, Chiambretti è approdato a Mediaset, mentre Ferrara sembra in pole position per l’approfondimento giornalistico dopo il TG1, dove appare certa la riconferma di Riotta. Al contrario, il destino di Michele Santoro appare assai poco chiaro: si vocifera che la prossima stagione autunnale (assicurata al programma dalla buona audience media di quest’anno) sarà l’ultima da conduttore, dopo di che la RAI proporrebbe al giornalista un contratto di collaborazione, che non comporta la necessità (vale a dire il diritto) di apparire in video. Una prima indiretta conferma è sembrata arrivare dallo stesso Santoro, durante l’ultima puntata di Annozero andata in onda ieri sera: del doman, ha detto l’ex biondo, non v’è certezza; di sicuro, c’è soltanto la realizzazione di alcuni  documentari, a cura della troupe santoriana, che la RAI trasmetterà a Luglio. 

In effetti, relegare Michele Santoro al ruolo di autore-produttore di docu-fiction da realizzare per la RAI sarebbe la maniera migliore di detronizzare il tribuno di “Annozero”: meglio di una censura in diretta, meglio di un editto bulgaro, meglio di un confino in seconda serata. Il cuore della strategia mediatica santoriana non si basa sui fatti, ma sui giudizi; non sull’inchiesta e sulla sua cogenza – com’è per il “Report” di Milena Gabanelli, la quale non a caso è di scuola minoliana –; ma sul commento all’inchiesta stessa, ad opera del giornalista, dei suoi collaboratori e dei suoi ospiti, oculatamente scelti per supportare la tesi della serata. Che si tratti di personaggi di centrosinistra o di centrodestra, il supporto non cambia: tra i primi, vengono ammessi in studio solo i più organici alla linea di interpretazione santoriana, i più popolari televisivamente ed efficaci in video, i più scenografici nella discussione (non necessariamente i politici più abili). E tra i secondi, vengono scelti solo quelli che hanno maggiore fama di partigianeria, tanto da poterne immediatamente depotenziare le argomentazioni (non senza averli invitarli provocatoriamente a esprimerle); o al contrario, da poter rivelare (ancor più clamorosamente) una paradossale coincidenza di opinioni con le tesi santoriane (com’è stato per l’ospitata di Assunta Almirante). 

Santoro non sarebbe pensabile senza un microfono, senza un talk-show in cui brandirlo, senza un interlocutore compiacente o sfidante sul quale appuntare la sua magnetica attenzione; i suoi programmi sono per definizione dialettici, palcoscenici di una lotta impari (in apparenza tra buoni e cattivi; in realtà, tra santoriani e resto del mondo) in cui viene infine emesso un verdetto senza possibilità di appello. La ricerca santoriana della verità, anche la più “scomoda”, della quale il giornalista ha fatto la sua bandiera, non sarebbe pensabile senza una contemporanea (ri)costruzione della menzogna, che viene inscenata e contemporaneamente condannata, evocata e insieme additata alla pubblica indignazione, perché la luce del vero risplenda più intensa. Senza questo conflitto epico, senza questo dibattito agonistico, senza la celebrazione di questo rito bellico a Santoro non sembrerebbe neppure di averlo riavuto, il suo microfono. E  stavolta l’idea sarebbe proprio questa: ridarglielo, sì, ma spento.