La Rai si candida a diventare una Tv da terza età

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La Rai si candida a diventare una Tv da terza età

13 Novembre 2007

Nessuna meraviglia di fronte al
catastrofico quadro dipinto nel nuovo piano editoriale RAI, presentato lo
scorso 30 ottobre e in corso di approvazione in questi giorni. Che il male
della televisione generalista, e in particolare di quella pubblica, fosse
l’inesorabile obsolescenza, era già chiaro sin dall’inizio della nuova stagione
televisiva, contraddistinta da una mancanza pressoché totale di innovazione
rispetto al palinsesto consolidato lo scorso anno. L’intervento del critico
televisivo del Corriere Aldo Grasso al principio dell’autunno precorreva le
preoccupazioni trapelate oggi da parte della TV di Stato: Grasso lanciava
l’allarme non soltanto per la decrescente qualità delle trasmissioni, ma anche
per la costante perdita di appeal sul pubblico più giovane, dinamico e
appetibile commercialmente.

Non importa quanto la guerra
dello share prosegua segnando punti da un lato e dall’altro: le due parti si
trovano giorno dopo giorno a contendersi un mercato sempre meno ricco, che
assiste a una continua trasfusione di forze fresche verso l’adiacente bacino
della concorrenza satellitare. In un certo senso, si tratta di un’ovvietà: i
giovani preferiscono indirizzare le loro attenzioni, e la loro disponibilità di
spesa, verso piattaforme televisive più innovative; complici la varietà
dell’offerta, la flessibilità della scelta, la disponibilità di contenuti
inediti e l’attenzione alle preferenze dell’utente, piuttosto che a
preoccupazioni di ordine politico, morale o pedagogico. D’altro canto, la
ventata di novità promessa dal digitale terrestre, che aveva l’ambizione di
costituire un’alternativa all’offerta satellitare, si è ben presto posata;
placata non da ultimo dagli interventi controriformistici dell’attuale governo,
ostaggio delle perplessità e dei caveat di una maggioranza ancora
incapace di non guardare alla TV come a un’emanazione diretta del potere
berlusconiano.

La sterile stigmatizzazione del
duopolio, inseguita dai detrattori della Gasparri, arrivava già in ritardo: con
l’ingresso del satellite, ormai lontano dai tempi in cui esordiva come la
cenerentola del piccolo schermo, gli attori sono già diventati a tutti gli
effetti tre. E poiché i telespettatori non si contano, ma si pesano, mentre la
TV satellitare si consolida come terzo polo, in grado di raggiungere in cinque
anni (recita ancora il piano editoriale RAI) una quota di mercato superiore al
25% nel giorno medio, la televisione terrestre generalista si avvia a diventare
il refugium degli spettatori anziani – magari numerosi, ma sempre meno
appetibili per gli investitori pubblicitari – che non possono permettersi un
esborso ulteriore rispetto al canone RAI per assicurarsi un palinsesto di
qualità, fatto su misura per loro. E’ il contrappasso che deve subire una
televisione che da almeno un ventennio misura pubblicamente la propria
efficienza sulla quantità di pubblico che riesce ad attrarre, sottovalutando il
dato sulla composizione del pubblico stesso.

L’azzeramento dei palinsesti,
proposto dal piano editoriale come risposta al tendenziale declino, è una soluzione
solo parziale. E’ senza dubbio positivo l’intento di portare una sfida alla
fissità degli “slot”, figli delle inserzioni pubblicitarie, che incasellano le
trasmissioni in blocchi sempre più rigidi e predefiniti (ragion per cui oggi sembra
fuori dal mondo collocare un quiz o nel prime time invece che in fascia
preserale, o una fiction autoprodotta nel pomeriggio invece che di sera),
contravvenendo innaturalmente alle disposizioni dello spettatore. Altrettanto
positivo va giudicato il tentativo di sottrarsi alla logica dell’Auditel: non
come slogan propagandistico, che di nuovo condurrebbe a sottovalutare il fatto
che tutta la televisione, compresa quella pubblica, agisce in un mercato; ma
come istanza di revisione degli indicatori di successo di un palinsesto
televisivo. Ma se progettare una nuova programmazione con una “forte
differenziazione di prodotto rispetto alla TV commerciale” significa estromettere
produzioni di qualità (come i telefilm, anche stranieri, di Rai Due), o peggio
ancora ritornare alla solita tiritera della cultura in televisione, siamo da
capo. Entrambe le scelte significherebbero una resa definitiva alla requie
della terza età televisiva: la rinuncia alla vivacità dell’intrattenimento, che
pure anima i successi del satellite, sarebbe un ripiegamento intriso di
nostalgia verso un passato in bianco e nero, incapace di ricondurre alla RAI i
giovani distratti dalla coloratissima offerta della concorrenza.