La redenzione di Flavia Perina
03 Aprile 2011
di redazione
Siamo sempre stati contrari alle epurazioni, all’olio di ricino, alle punizioni corporali. Al più abbiamo pensato che qualche schiaffo ben assestato potesse essere il massimo della azione punitiva e dimostrativa. Anche gli schiaffi sonori ma tardivi, non ci sono mai piaciuti. Per questo non abbiamo condiviso il modo in cui Flavia Perina ha dovuto lasciare la direzione del Secolo d’Italia.
Avremmo preferito che la resa dei conti nell’ex An per definire a chi spettasse dettare la linea editoriale dello storico giornale della destra italiana non avvenisse solo sulla base di un rapporto di forza, o meglio sarebbe dire, di debolezza dei dissidenti di Futuro e Libertà ma fosse stata fatta ex ante, quando cioè il problema si è posto, ritenendo – forse sbagliando – che il Secolo, un po’ come la Casa di Montecarlo, non fosse certo proprietà privata del Presidente della Camera (anche se lui sembrava pensare di no) ma patrimonio di una comunità politica.
Per questo, abbiamo provato un certo senso di sollievo ieri, leggendo l’intervista che Flavia Perina ha rilasciato un po’ in sordina al Corriere della Sera, nella quale l’ex direttrice afferma che tra le sue massime aspirazioni di questa ora ci sarebbe quella di scrivere nientemeno che per il Fatto quotidiano. Che le posizioni di una parte degli ex aennini fossero molto simili a quelle della sinistra più reazionaria lo avevamo sempre saputo. Bastava vedere come la pensano sulla giustizia, la politica estera, la laicità dello stato, la bioetica, i lavoratori e le imprese e su molto altro per capire subito che i finiani della prima ora hanno molto più da spartire con Travaglio che con gli eredi di Einaudi.
Quello della Perina, dunque, è un po’ un ritorno alle origini, nella casa del padre, il ritorno del figliol prodigo. Non ci resta che ammazzare il vitello grasso e festeggiare.