La “rendition” di Abu Omar secondo WikiLeaks: un asse fra Italia e Usa
20 Dicembre 2010
Nel febbraio del 2003, l’imam Abu Omar viene prelevato da una squadra della Cia nelle strade di Milano, in pieno giorno, con l’aiuto dei servizi italiani, e trasferito segretamente in Egitto, dove dice di essere stato interrogato e torturato per ottenere informazioni sul terrorismo islamico.
L’operazione della Cia viene scoperta dagli inquirenti italiani e, qualche anno dopo, si apre il processo contro una ventina di uomini dell’Agenzia. Pochi giorni fa, gli agenti sono stati condannati in appello. I cablo dell’ambasciata Usa diffusi da WikiLeaks mostrano che le autorità americane – l’attuale segretario alla Difesa Gates in prima persona – hanno fatto di tutto per impedire che l’Italia spiccasse un mandato di cattura internazionale, minacciando una crisi diplomatica.
Berlusconi avrebbe rassicurato di persona Gates spiegando all’interlocutore che la magistratura italiana è orientata a sinistra, e dunque preventivamente contraria alle operazioni off dell’intelligence americana. Il premier avrebbe aggiunto che il processo alla Cia era destinato a fermarsi in appello, mentre invece come abbiamo visto le cose sono andate diversamente.
La condanna contro gli agenti americani è stata inasprita e la ricerca della verità sulle “rendition” americane in Europa dopo l’11 Settembre prosegue, in una verifica di poteri che chiama in giudizio la politica e le strutture della forza occidentali. Così Amnesty, commentando positivamente la sentenza italiana. La magistratura resta un potere indipendente.
Dai dispacci emerge anche che in questi anni la cooperazione tra il nostro Paese e gli Usa nella lotta al terrorismo islamico si è rafforzata, come spiega l’ambasciatore degli Usa a Roma, Spogli, in una delle sue comunicazioni a Washington. L’esecutivo ha messo il segreto di stato sulla vicenda di Abu Omar, mentre la richiesta di estradizione per gli uomini della Cia è stata negata. Le questioni di sicurezza hanno prevalso, almeno finché non è arrivato Assange.
Lo Spiegel scrive che notizie come quelle diffuse sul rapimento dell’imam avrebbero messo in crisi qualsiasi governo occidentale, ma non l’Italia di Berlusconi; giudizio feroce visto che il Cav. non ha esitato a preservare l’alleanza con gli Usa sulla controversa questione delle rendition, uno dei punti dolenti della strategia di contrasto al terrorismo elaborata da Clinton, ampliata da Bush e proseguita con più discrezione da Obama.
Aggiungiamo che Abu Omar non è un povero martire come vuole far credere, ma l’ex imam della Moschea di Via Quaranta a Milano – quella dei 200 bambini che andavano a studiare arabo in furgoni dai vetri oscurati, perché i loro genitori non volevano mescolarli agli italiani. Ricercato dalle autorità egiziane, l’uomo è stato collegato alla Jemaah Islamiah, il gruppo terrorista che negli anni Novanta ha insanguinato l’Egitto con dozzine di morti, prima che i suoi apostoli sfuggissero alla repressione del Faraone Mubarak cercando riparo in Europa. Il braccio destro di Osama Bin Laden, il medico egiziano Zawahiri, ha benedetto l’alleanza fra Al Qaeda e la Jemaah Islamiah.
Anche Abu Omar lascia Egitto per evitare l’arresto, gira fra Germania e Bosnia, sistemandosi in Italia nel ’97 con lo status di rifugiato politico. Sotto la sua reggenza, la Moschea di Via Quaranta e l’Istituto di cultura di Viale Jenner diventano centri d’irradiazione dell’estremismo islamico egiziano, entrando in rotta di collisione con l’UCOII e altre rappresentanze del mondo islamico nel nostro Paese. Dopo l’11 Settembre, la magistratura italiana indaga su di lui per complicità con il terrorismo internazionale.
Ciò non toglie che la Cia abbia commesso gravi errori nella gestione della rendition di Abu Omar, mettendo a repentaglio il programma dei trasferimenti segreti di Bush e la credibilità del governo italiano. L’agenzia stessa è uscita screditata dal caso dell’“imam rapito”, più di quanto non lo fosse già dopo il blackout delle Torri Gemelle.
Quando Jeff Castelli, capocentro della Cia a Milano, fa scattare l’operazione, non si cura di verificarne i dettagli. Dopo la cattura di Abu Omar, gli agenti Usa si danno alla dolce vita nei migliori alberghi della penisola, comunicando tramite cellulare nel Paese regno delle intercettazioni. Robert Lady, il capocentro a Roma, lascia prove compromettenti nel suo appartamento. Si scopre che conserva delle foto di Abu Omar e che sarebbe stato in Egitto ad assistere all’interrogatorio dell’imam.
L’incuria con cui viene portata avanti l’operazione della Cia è un segnale della confusione che regnava nell’Agenzia dopo l’11/9, e testimonia come il principale organo dell’intelligence americana non sia stato in grado di assolvere pienamente al compito di estendere "correttamente" l’uso delle rendition richiesto dal Presidente Bush.
In Italia Abu Omar era intercettato e pedinato dai nostri investigatori. La Cia fa saltare un’indagine in un Paese alleato, e quando poi si trova con le spalle al muro costringe la politica americana a premere con forza sulla controparte italiana per ridimensionare la dimensione del fallimento.
Forse le personalità istituzionali italiane che negli anni scorsi si sono confrontate con le richieste degli americani avrebbero potuto assecondarli un po’ meno, proprio in virtù degli errori commessi dalla Cia. Abu Omar è stato rilasciato tanto misteriosamente quanto era stato catturato. Durante la prigionia, è riusciuto più volte a comunicare con altri soggetti in Italia, mettendoli in guardia dal fare la sua stessa fine. Oggi fa politica al Cairo, militando in uno dei partiti di opposizione.
Perché la Cia ha fatto questo regalo a Mubarak? Perché Abu Omar è stato rilasciato? Ha collaborato? Dopo aver messo al bando la Jemaah Islamiah, l’Egitto sta cercando una politica di riappacificazione con le frange disperse e più disposte al dialogo dell’arcipelago islamista… E se ha collaborato quali informazioni ha fornito sulle reti del Terrore in Europa? Le autorità del Cairo si sono sempre rifiutate di fornire informazioni del genere all’Italia. Come pure i sapientoni di WikiLeaks non hanno accesso ai misteri d’Egitto.