La “rendition” di Cesare Battisti

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La “rendition” di Cesare Battisti

05 Gennaio 2011

Per riportare in Italia Cesare Battisti con le buone, fino adesso, le abbiamo provate tutte. Il governo italiano ha giocato la carta dell’estradizione ma l’ex presidente Lula ha risposto picche. La Farnesina ha mosso i canali diplomatici e il ministro degli esteri Frattini ha minacciato di far saltare la partnership militare con Brasilia, ma anche questa scelta non sembra aver smosso più di tanto le acque.

A protestare contro l’ambasciata brasiliana ci ha pensato il figlio di Torregiani, il gioielliere che alla fine degli anni Settanta venne assassinato dai PAC, ma in Piazza Navona abbiamo contato solo cinquecento persone. Fossero state cinquecentomila, forse il Brasile avrebbe iniziato a preoccuparsi seriamente.

Adesso l’avvocatura di stato proseguirà sulla via legale, nella speranza che il Supremo Tribunale Federale carioca non accetti la richiesta di scarcerazione avanzata dagli avvocati difensori di Battisti. Se così fosse, l’ex terrorista tornerebbe a piede libero sulle spiagge di Rio. Ma a pensarci bene, e lavorando di fantasia, questa eventualità apre un nuovo scenario.

Per lanciare un chiaro monito sulla forza del proprio Paese, gli Stati Uniti e Israele hanno fatto ricorso a uno strumento controverso qual è la rendition, un’operazione segreta condotta dall’intelligence per rapire nemici o avversari politici in nazioni straniere, ovviamente in barba a ogni diritto internazionale.

Sappiamo che l’Italia non è usa a soluzioni estreme come questa, né ci auguriamo che lo diventi visto quello che provocherebbe in parlamento: come minimo l’opposizione chiederebbe le immediati dimissioni di Frattini e la testa del Cav. Ma ci chiediamo se qualcuno a Forte Braschi, attuale sede dell’AISE – Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna, stia aspettando una importante telefonata.

Non sarebbe del tutto impossibile fantasticare su una rendition di Battisti in Brasile. Basterebbe qualche soffiata e una copertura nei servizi di sicurezza brasiliani, quattro agenti italiani che raggiungono il Nostro in incognito – due per prelevarlo e due per coordinare l’operazione – e infine un bel volo dell’Alitalia con il prigioniero rinchiuso in un container per non dare nell’occhio.

A corollario, gli agenti italiani potrebbero lasciare sul campo qualche segno di riconoscimento, magari le ricevute di un hotel o di una cena, per far capire chi è stato a riprendersi Battisti, un po’ come hanno fatto qui da noi gli uomini della Cia che rapirono Abu Omar.

La rendition di Battisti avrebbe due conseguenze sulla politica estera del nostro Paese: far passare l’idea che con l’Italia non si scherza e far correre un brivido lungo la schiena di tutti quei latitanti, rossi neri o criminali che siano, che hanno ancora un conto in sospeso con la giustizia tricolore.

Ma come abbiamo detto queste sono solo fantasie, prendetele come lo sfogo di un Comsubin in pensione, che guardando deluso al caso Battisti si ricorda dei tempi in cui il governo italiano organizzava segretissime rendition per portare davanti al Tribunale Penale Internazionale dell’Aia qualche colonnello serbo fedele al dittatore Milosevic.

In ogni caso, da quel che sappiamo spesso le rendition ordinate da altri governi si sono concluse deportando i prigionieri in posti poco piacevoli del mondo dove venivano torturati e a volte uccisi. Qui da noi, al massimo finirebbero dietro le sbarre.