La responsabilità dell’azione militare in Libano

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La responsabilità dell’azione militare in Libano

24 Ottobre 2006

Secondo una visione geopolitica della politica estera italiana l’intervento Italiano in Libano sarebbe maggiormente giustificato rispetto ad altre missioni nelle quali i nostri militari sono o erano impegnati.

L’ambito naturale della visione strategica italiana sarebbe fondamentalmente rivolta al Mediterraneo e alla parte Sud Orientale dell’Europa, i Balcani.

Le missioni in Iraq e in Afghanistan sarebbero quindi al di fuori della sfera dell’interesse nazionale.

Naturalmente la geopolitica non è una scienza ma ragionare in termini d’interesse nazionale dovrebbero essere bagaglio di un partito che si dica conservatore.

E’interessante notare come l’intervento in Libano abbia messo in rotta di collisione il Governo italiano e quello francese.
Il Presidente Chirac ha dovuto forzare la mano dei suoi generali che gli sconsigliavano l’invio di un contingente francese nell’ex dominio coloniale.
L’Italia ha, in effetti, con il suo intervento in Libano cercato di aumentare la sua influenza nell’area seguendo la consueta politica del “sedere” ai tavoli dove si decide.

Questo tentativo di uscire da una situazione di subalternità in effetti continua l’opera fatta dal Governo Berlusconi di agire anche in modo difforme da Francia e Germania. Secondo l’intenzione dei proponenti la Missione in Libano, la sinistra, soprattutto dagli Stati Uniti e da Israele.

Con il Governo del Centro-Destra l’Italia partecipava a missioni fuori dal proprio ambito “naturale” (Iraq e Afghanistan) operando però in modo limitato, con l’appoggio dell’alleato americano e soprattutto potendo offrire mezzi sicuri per il perseguimento della missione attraverso una coalizione di Governo certamente più coesa di quella attuale.

Oggi il risultato è che l’Italia da sola deve assumersi gran parte della responsabilità militare, politica e finanziaria  di una missione molto impegnativa e in cui i rischi per il nostro contingente sono elevati quanto vaghi sono i termini delle regole d’ingaggio sotto cui i nostri soldati devono operare.

Si è giustamente ricordato come l’equidistanza celi in realtà una ipocrisia di fondo.
L’Italia è in Libano perché vuole mantenere se non aumentare la propria influenza nel foro internazionale e il Governo Prodi vuole approfittarne dato il suo stato piuttosto malconcio.
Ma a quale prezzo?

Come non si fa a notare la discrasia negli argomenti di chi afferma che è assolutamente necessario aumentare le tasse per sistemare la finanza pubblica e poi corre volontario da Kofi Annan implorando di poter offrire “per la pace” in Libano l’intera flotta, l’esercito e l’aviazione?

Nonostante le tasse, l’Italia spende sempre di meno nel settore della Difesa e il pericolo dell’ ”overstretching” è reale oltre che attuale.
I militari sono costretti a prolungare il proprio periodo di servizio nelle missioni all’estero non ricevendo una paga adeguata alla loro professionalità nonostante essi risichino la loro vita utilizzando equipaggiamenti e materiali che si logorano rapidamente. Il Governo Prodi vuole attuare una politica di equidistanza o “terzismo” ammantata dalla missione ONU.

Ma l’Italia se la può permettere?
L’atteggiamento dell’Opposizione è stata quella di assecondare il Governo in una posizione condivisa di politica estera sebbene i voti in Parlamento erano più che sufficienti perché  la maggioranza non richiedesse aiuti esterni ad essa  (a differenza dell’esperienza del Kosovo quando il Governo D’Alema non aveva i numeri).

Il fatto di usare la nostra gente in divisa come “gettone di presenza” dell’Italia per potere accedere ai consessi Internazionali al fine di assicurare il rango appropriato per una Nazione di 60 milioni di persone è un’operazione per niente nuova ma che denota un velleitarismo latente dimostrazione dell’incapacità di concentrare le energie del Paese nel raggiungimento di una visione condivisa, ragionevole ma soprattutto realistica date le circostanze della politica internazionale e strutturali dell’Italia.

In una situazione come questa il Centro–Destra  avrebbe dovuto opporre la richiesta del necessario riconoscimento delle esigenze di sicurezza dei militari Italiani.
Votando affermativamente alle regole d’ingaggio previste per la missione in Libano non lo ha fatto.

Certo se si ponesse la sicurezza dei soldati come unico criterio di scelta le missioni all’estero non si farebbero proprio.
Ma la situazione del dibattito attuale (con la significativa eccezione del leader dell’Opposizione) è  tale che  l’argomento della sicurezza delle forze di spedizione è totalmente secondario se non assente.

Il problema è:  l’esigenza del Governo Prodi di assecondare i massimalisti di sinistra nella loro visione antiamericana e filo-Hezbollah vale la sicurezza dei nostri uomini ?
No e i conservatori liberali dovrebbero cominciare a riflettere su quali conseguenze nefaste porterà la missione in Libano per i metodi e le finalità tradizionali della politica estera italiana.