La retorica del declino si ritorce contro la maggioranza

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La retorica del declino si ritorce contro la maggioranza

La retorica del declino si ritorce contro la maggioranza

17 Dicembre 2007

La sinistra paga – è una lucidissima considerazione di
Nicola Rossi – il “modo dissennato” con cui ha condotto, nella passata
legislatura, la battaglia dall’opposizione, insieme – aggiungiamo noi –
all’Intendenza massmediatica sempre pronta a mobilitarsi a sostegno delle
campagne della gauche. Tanto menzognera e priva di scrupoli è stata la
campagna contro l’odiato Governo Berlusconi che ha finito anche per inquinare
le falde acquifere dove si abbevera l’intero Paese.

Per anni la sinistra ha
descritto un’Italia che esisteva solo nei casi sociali scovati dai redattori di
Ballarò. Le famiglie italiane sembravano ormai ridotte sul lastrico, i Comuni
erano dissestati, costretti a privare i vecchi dei servizi sociali. I bambini
erano costretti a mendicare un po’ di latte. Ovunque, grazie alla legge Biagi,
dilagava il precariato, mentre milioni di lavoratori pensionandi – condannati a
ritmi della catena di montaggio (per l’occasione veniva prelevata dalle
cineteche la pellicola di “Luci della città” ) – si inerpicavano faticosamente
lungo lo scalone del perfido Maroni.   E
tutti si impoverivano, a partire da quei ceti medi che avevano avuto la
dabbenaggine di votare per la Casa delle Libertà. E se le statistiche
rappresentavano una realtà diversa, bastava accusare l’Istat di mentire e di
avvalersi dei dati di Eurispes o, addirittura, dell’Ires-Cgil, assurto al rango
di una ancor più credibile Banca d’Italia.

L’occupazione aumentava? Era “cattiva”:
solo cococo, contratti a termine, lavori interinali. Schiavi moderni, insomma,
imprigionati nei call center, come un tempo erano incatenati ai remi delle
galere della Serenissima. Poi, gli elettori hanno mandato (ahiloro!) al potere
l’Unione. Il Governo Prodi non solo non è stato in grado di mantenere quelle
promesse palingenetiche che aveva dovuto fare nel suo sciagurato programma
elettorale (in conseguenza della linea di condotta “dissennata” portata avanti
negli anni di opposizione), ma è stato costretto a foraggiare i grandi apparati
della spesa pubblica (per distribuire “tesoretti” alle sue clientele
elettorali) con un ampio ventaglio di nuove tasse e di aumenti contributivi che
hanno colpito più o meno tutti. Così, gli italiani – già convinti di essere
poveri – vedendo diminuire ulteriormente i loro redditi cominciano ad avere
qualche difficoltà in più a mantenere tenori di vita e livelli di consumo sulla
cui tipologia e qualità sarebbe il caso di ragionare prima di caricarci la
croce dell’indigenza sulle spalle.

Chi scrive a volte ha l’impressione di vivere
in un paese impazzito, che ha perso il senso della misura. Ogni evento
drammatico (si prenda il caso degli infortuni o anche quello dolorosissimo
delle morti bianche) viene amplificato come se fossimo precipitati in un
baratro senza fondo; come se alle nostre spalle vi fosse, invece, un mondo
ordinato e migliore. Ogni fattispecie occupazionale problematica (in un mercato
del lavoro complesso, soprattutto in una fase di transizione come l’attuale)
diventa le regola generale. Sul c.d. precariato (si leggano, vincendo il
raccapriccio, i libri e gli articoli di Luciano Gallino) ognuno spara le sue
cifre, costruite secondo il proprio metro di misura. Si prenda il caso dei
contratti a termine, sulla cui disciplina interverrà la nuova legge. Ha davvero
destrutturato il mercato del lavoro e generato un precariato diffuso e
dilagante la nuova disciplina del contratto a termine, introdotta col dlgs
n.386/2001 in conseguenza del recepimento di una direttiva europea e di un
avviso comune delle parti sociali che ne aveva modificato i contenuti
introducendo ulteriori vincoli a maggiore tutela dei lavoratori? 

I dati stanno a dimostrare che la realtà è
ben diversa dalla propaganda. Il lavoro dipendente – dal 1997 al 2006 – è aumentato
di 2.462.000 unità, di cui 1.850.000 “permanenti” e 612mila “a termine”. Stando
alle statistiche del II semestre del 2007 occorre aggiungere altri 240mila
occupati alle dipendenze di cui 157mila permanenti e 83mila a termine. Ma la
nuova legislazione sul lavoro a termine ha aumentato, davvero e in maniera
abnorme, l’occupazione a tempo determinato? Considerando che il dlgs n. 386 è
stato varato nel settembre del 2001 sembra ragionevole farne decorrere gli
effetti dal 2002. A partire da quell’anno fino a tutto il 2006 i lavoratori a
termine sono aumentati di 276mila unità (mediamente di circa 55mila l’anno).
Tra il 1997 e il 2002 l’incremento è stato di 336mila (pari ad una variazione
media annua di 56mila. Certo, ci sono dei picchi per quanto riguarda il ricorso
ai contratti a termine; ma tali processi non sono iniziati a partire dal 2001 e
per effetto dell’entrata in vigore della nuova legislazione. E in generale
l’assunzione “standard” a tempo indeterminato è complessivamente prevalente.

Stando ai dati del II trimestre 2007 i lavoratori subordinati permanenti erano
14.850.000, quelli a termine 2.305.000. 
Ma anche il lavoro a termine è un istituto vecchio come il cucco,
corrisponde ad esigenza produttive che è impossibile negare. E’ interessante,
così, andare alla scoperta di come è presente il lavoro temporaneo nei diversi
settori dell’economia. Alla fine del 2006 i lavoratori a termine erano il
13,1%  del totale degli occupati alle
dipendenze (una quota assolutamente allineata con gli standard europei). Nel
2002 erano il 12,3%. A che cosa si deve l’incremento? Al settore dei servizi
dove i dipendenti a termine passano, nel periodo considerato, dal 12,4% al
13,2%, mentre nell’industria l’aumento è talmente modesto da risultare
irrilevante: dal 9,6% al 9,7%. Il comparto in cui questa tipologia di impiego
cresce di più è rappresentato dall’agricoltura: dal 43,3% nel 2002 al 49,9% nel
2006. Più di sei punti dunque. Ma il fenomeno ha delle spiegazioni: in primo
luogo la temporaneità del lavoro è normale in agricoltura; in secondo luogo,
nel settore ormai sono occupati in assoluta prevalenza dei lavoratori immigrati
extracomunitari, i quali, a torto o a ragione, sono comunque temporanei ope
legis
, in quanto la loro attività è legata al permesso di soggiorno,
anch’esso per sua natura temporaneo.

E’ tanto difficile, allora, andare a fondo
delle cose, senza commettere l’errore delle generalizzazioni costruite su
situazioni particolari e circoscritte? Quelli che si divertono a sparacchiare
a destra e a sinistra prima o poi finiranno per spararsi addosso.  Tra di loro.