La ricreazione estiva è finita, ora il Governo chiuda la “supermanovra”
29 Agosto 2011
La ricreazione è finita. Oggi si incontrano Berlusconi, Bossi e Tremonti e chiudono il tormentone estivo sulla supermanovra di ferragosto. Il principale problema del decreto è quello di essere stato varato in pieno agosto. I giornali devono uscire tutti i giorni; così hanno alimentato il protagonismo di troppi dilettanti allo sbaraglio sempre pronti a dire la loro sui contenuti di un provvedimento da 45,5 miliardi, raccolti in un puzzle difficilmente scomponibile e ricomponibile altrimenti.
Il Pdl ha provato l’ebbrezza della libera uscita: correnti vecchie e nuove hanno cercato un posto al sole prendendo come riferimento un pezzo di manovra di cui chiedevano la soppressione o la trasformazione. Il caso ha voluto che toccasse al contributo di solidarietà la sorte del Saracino della giostra. Il prelievo del 5% sulla quota di reddito eccedente 90mila euro l’anno e del 10% su quella eccedente 150mila euro è diventato l’emblema del tradimento della promessa di non mettere mai le mani nella tasche degli italiani. E la sua abolizione è stata chiesta come il ripristino delle antiche virtù. Ciò in un provvedimento in cui il 60% delle risorse provengono solo dalle entrate.
Nessuno però è riuscito a spiegare per quali motivi una norma già in vigore per i pubblici dipendenti e i pensionati (salutata in questi casi come un contributo all’equità) debba essere rifiutata se viene estesa, nella medesima misura, a tutti i cittadini di pari reddito. Altra stranezza riguarda il modo in cui è stato trattato il problema della previdenza, un tema che avrebbe potuto <mettere in sicurezza> il pareggio di bilancio dopo il 2013. Il decreto qualche piccolo ritocco alle pensioni l’ha dato anticipando tra l’altro qualche scadenza. Ma non vi è stato il coraggio di compiere una svolta risolutiva alla questione del pensionamento anticipato di anzianità. Per una serie di ragioni l’importo di una pensione di anzianità è mediamente pari al doppio di una di vecchiaia ed ha una durata più lunga di 5 o 6 anni.
Eppure, la Lega Nord, che pur nella manovra di luglio si era resa disponibile a tagliare davvero e in via permanente le pensioni attraverso la manipolazione della perequazione automatica, si è schierata a difesa dei trattamenti di anzianità con la medesima becera determinazione con cui protegge da anni la vicenda delle quote latte. Ad un certo punto, al cospetto di un fiorire di iniziative e di proposte di ogni tipo, ci siamo chiesti più volte se ci fosse qualcuno che, alla fine, avrebbe rimesso ordine e ricomposte le file. Si era detto, infatti, che Giulio Tremonti era finito. E il suo lungo silenzio lo faceva credere. Angelino Alfano si è dato da fare, ha incontrato i dissidenti, i rappresentanti delle Regioni e degli ELL, ha fatto promesse, ma il ruolo del partito – che era l’innovazione attesa – non si è visto. Bossi non ha voluto riconoscere al neo segretario la funzione di interlocutore. E soprattutto è illusorio pensare di aggirare Tremonti, non solo perché è capace ed è stimato in Europa e nel contesto degli organismi internazionali. C’è qualche cosa di più, per fortuna. Nessun provvedimento può percorrere il proprio iter legislativo se non è corredato dal bollino della Ragioneria.
Per concludere, i cambiamenti saranno molto modesti, al massimo si arriverà ad un ritocco dell’Iva per dare un po’ di respiro agli enti locali. A proposito, quanta tristezza nella autodifesa dei piccoli comuni! In un paese con meno di mille dipendenti la rappresentanza democratica è requisita da un paio di famiglie che, con i loro amici, si contendono il potere. Arriverà il momento in cui capiremo che il guaio del Paese non è quello dei grandi privilegi, ma quello dei piccoli.
E’ il caso, per esempio, del tema dell’evasione fiscale, sbandierato dalla sinistra. Il problema principale non è quello dell’idraulico che non rilascia la fattura (anche se qualche misura atta a creare conflitto di interesse andrebbe assunta): il dramma dell’Italia è quello di una economia meridionale che non riesce ad attenersi alle regole. In molte regioni del Sud viene evaso il 50% del reddito, in talune persino l’80%. E tutti ne sono consapevoli e chiudono un occhio, perché quella economia può sopravvivere solo così.
Ma sul decalogo di Bersani le cose più interessanti e critiche le ha scritte Tito Boeri su La Repubblica di sabato. E Boeri è vicino al Pd. Nel mirino della sinistra è finito l’articolo 8 del decreto di ferragosto, laddove si consente alle parti sociali di negoziare in deroga, tra le altre materie, anche gli effetti e le conseguenze del recesso dal rapporto del lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e per quello in occasione di matrimonio (dove è mantenuto il diritto a reintegra). Non vi è, dunque, alcuna revisione per via legislativa dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ma la possibilità di concordare una tutela più leggera (come il risarcimento del danno), in particolari condizioni del mercato del lavoro e in una determinata area del Paese.
In sostanza, si tratta di una delle poche misure del decreto ispirata ad una filosofia di crescita. Quella stessa crescita che, nella propaganda della sinistra, viene sbandierata ad ogni piè sospinto come se la politica economica fosse una lozione per capelli.
Post scriptum – Mi sono sbagliato. Chiedo scusa ai lettori. Come soleva dire la signora Thatcher <L’imprevedibile può accadere>. Non avevo previsto il colpo d’ala della maggioranza che, nel labirinto delle pensioni, ha saputo individuare un aspetto critico: la possibilità di pensionamento con 40 anni di anzianità che, nei fatti, è rimasta la via più rapida per il pensionamento perché non è richiesto un requisito anagrafico. Così, quelli che hanno cominciato a lavorare presto sono in grado di andare in quiescenza assai prima di aver compiuto 60 anno. L’emendamento intende correggere questa situazione.