La rielezione di Ahmadinejad è uno di quei giorni da dimenticare

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La rielezione di Ahmadinejad è uno di quei giorni da dimenticare

11 Giugno 2010

L’anno scorso, il 12 giugno, in Iran si voto’ per le presidenziali. La vittoria di Ahmadinejad fu subito contestata non solo (com’era prevedibile) dagli oppositori interni, ma da ampi settori dell’opinione pubblica internazionale meglio informata. Dalle votazioni con gli elettori sotto minaccia, allo spoglio truccato delle schede, gli addebiti al regime iraniano rivelarono il volto ferreo di una cricca di governanti estremamente autoritaria ed illiberale.

A voler oggi definire gli ingredienti  essenziali della realta’ iraniana, basterebbe rifarsi ai peggiori esempi storicamente a tutti noti delle dittature.  Con l’aggravante, in questo caso specifico, della versione  teocratica ed  assolutista dell’islamismo intransigente che per bocca  della guida suprema (l’Ayatollah Khamanei) appena qualche giorno fa pronostica la prossima caduta e la sparizione dello stato ebraico e che definisce  Israele un tumore canceroso da eliminare insieme all’America ed ai suoi alleati sionisti. Propaganda, si dira’, e in un certo senso di questo si tratta. Ma i fatti che accadono non sono certo meno preoccupanti della violenza verbale: la repressione  del dissenso e’ capillarmente applicata su tutto il territorio, punizioni severissime per chiunque si esponga pubblicamente col chiedere cambiamenti e riforme. Un altro  esempio abbastanza recente di come opera il regime poliziesco post-khomeinista e’ l’arresto di Alireza Ashami, il leader dell’Associazione Nazionale degli Insegnanti, avvenuta il 2 maggio (che in Iran e’ il giorno della festa della Scuola).

Lo stimato dirigente scolastico e’ stato arrestato, con perfetto sincronismo preventive, due giorni prima della ricorrenza, spesso utilizzata in passato dagli operatori scolastici iraniani di ogni ordine e grado per rivendicare diritti ed auspicare riforme migliorative del proprio status (ivi compreso il pagamento dei salari arretrati anche di diverse mensilita’). Dopo l’arresto del professor  Ashemi, esattamente il giorno della festa, la Polizia ormai asservita totalmente ai voleri del regime di Teheran, ha effettuato arresti anche di altri insegnanti che si erano semplicemente riuniti, numerosi, per onorare con un rito funebre il collega Abdulasan Khanali, ucciso a maggio del 1961 durante una manifestazione di protesta a favore dei diritti degli insegnanti. Sotto Ahmadinejad non e’ ovviamente una novita’ la repressione dei docenti, anche a livello universitario: specialmente di quelli che per aver prima solo studiato o fatto ricerca in universita’ occidentali, per cio’ stesso sono additati come potenziali minacce al regime. Per essi, quando va bene, la regola e’ l’imposizione sotto pressione del pensionamento anticipato o l’immediata rassegna delle dimissioni unilaterali.

Si consideri poi che a Teheran, il Rettore dell’universita’ (un clericale conservatore con nomina diretta del Presidente Ahmadinejad in persona) per la prima volta e’ stato preferito ad accademici di orientamento laico. Ed e’ questo un brutto segno, ulteriore  indicatore di una progressiva involuzione della societa’ iraniana nel suo complesso, dove lo stesso accesso agli studi superiori o il prosieguo di essi nella ricerca, piu’ che da criteri di merito e’ dettato dal tasso di fedele acquiescenza alle idee del Presidente ed alle politiche predicate dai suoi ministri e collaboratori. Il che comporta, purtroppo, un triste destino per la migliore gioventu’ iraniana: condannata a sottostare alle imposizioni antidemocratiche del regime con dei danni prevedibili  per il futuro delle successive generazioni. In un contesto  triste e sconsolato in cui al posto dell’eccellenza meritocratica prevarra’ un modello culturale di istruzione e di educazione dei giovani chiuso, non creativo ed inquadrato secondo dettami politico-ideologici  che ne comprometteranno la competitivita’ internazionale.