La riforma del MES sia un’opportunità per tutti e non per i soliti noti

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La riforma del MES sia un’opportunità per tutti e non per i soliti noti

La riforma del MES sia un’opportunità per tutti e non per i soliti noti

26 Novembre 2019

In questi giorni si sta sviluppando un intenso dibattito sulla riforma dell’European Stability Mechanism (MES), il fondo permanente con cui gli Stati dell’Eurozona possono gestire le crisi finanziarie dei Paesi. Il tema forse può sembrare a prima vista piuttosto astratto per qualcuno, ma, al contrario, come avvenuto per la legge riguardante il pareggio di bilancio da inserire nella costituzione, rischia di avere significative ricadute sull’economia del Paese e, di conseguenza, sulle famiglie e sulle imprese.

In che cosa consistono esattamente le modifiche che si vorrebbero introdurre relativamente al Patto di Stabilità e allo stesso MES? La storia ha inizio lo scorso giugno quando venne deciso dagli Stati membri di procedere ad una riforma del MES da completarsi entro la fine dell’anno che dovrebbe portare quest’ente a trasformarsi in una sorta di Fondo Monetario Europeo, il quale dovrebbe intervenire in caso di necessità solo qualora il paese richiedente dimostrasse di avere un debito sostenibile e rispettasse i parametri di Maastricht. L’intervento avverrebbe in due modalità differenti. La prima, attraverso una linea di credito “precauzionale” limitata solo ai paesi che non sono sotto procedura, hanno i conti pubblici in ordine ed un debito pubblico sotto controllo. La seconda, attraverso una linea di credito “rafforzata” che può essere concessa anche a paesi con i conti non in ordine a patto che vengano rispettate una serie di condizioni vincolanti per quanto concerne il controllo della spesa pubblica e il varo delle riforme (arrivando così ad una situazione simile a quella che ha portato al salvataggio della Grecia con la troika che vigilava sul rispetto delle condizioni concordate).

Già in questa distinzione si vedono le prime possibili conseguenze negative per l’Italia, ma c’è altro. La riforma prevede che l’intervento del MES riguarderebbe solo quei paesi che dimostrano comunque di avere un debito sostenibile (ad ulteriore garanzia dei paesi europei che contribuiscono al fondo) e all’interno di questa sostenibilità si inquadra anche la riforma delle “Cac” (Clausole di azione collettiva) che facilita la ristrutturazione del debito pubblico, Inoltre, il prestito anche se condizionato potrebbe non essere concesso a chi sia in procedura per deficit o negli ultimi due anni non abbia rispettato il Patto di Stabilità, per cui l’Italia, pur terzo contributore del Fondo dopo Germania e Francia (con 125 miliardi di euro sottoscritti e 14 miliardi di euro versati), rischierebbe di non poter accedere ai prestiti. O meglio, per avere i soldi del MES prima dovrebbe ristrutturare il debito. E infatti l’introduzione delle clausole Cac renderebbe più facile gestire il default coi creditori.

Da più parti in questi giorni (Ministero dell’Economia e Banca d’Italia) si è precisato che la riforma non prevede una ristrutturazione dei debiti sovrani. Tuttavia, guardando ad alcune scelte del passato – come ad esempio i criteri inizialmente adottati per ponderare le attività finanziarie rischiose, che ha dato luogo ad un meccanismo che ha penalizzato le banche italiane maggiormente dedite ad una operatività volta al sostegno dell’economia reale rispetto ad altri grandi gruppi europei che avevano titoli tossici al loro interno, la richiesta di applicazione del bail-in da parte di alcune banche italiane, gli ostacoli che le stesse banche italiane hanno trovato presso la commissione sulla possibilità di ricapitalizzare (cosa che invece è stata consentita ad altri) o la resistenza tedesca manifestata nel proseguire con l’unione bancaria attraverso una condivisione del sistema di garanzia dei depositi – una ragionevole prudenza sulla questione ed un suo ulteriore approfondimento, non sembra del tutto fuori questione. Soprattutto se si considerano le ultime dichiarazioni del ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz che ha aperto ad uno schema europeo di garanzia dei depositi, e quindi di condivisione dei rischi, in cambio di una riforma che rimuova gli incentivi alle banche ad acquistare ampi quantitativi del debito pubblico del proprio Paese, una misura che colpirebbe in modo deciso il nostro Paese e che avrebbe ricadute negative per le banche italiane, detentrici di un ampio ammontare di titoli di stato italiani e che dovrebbero procedere ad ulteriori assorbimenti per mantenere i propri ratio patrimoniali inalterati e che non comprerebbero più debito pubblico con una crescita del rischio di tenuta dei conti nazionali.

Il cantiere dei lavori europei è ancora aperto e non è detto che la strada che sarà presa non sia alla fine la migliore e in grado di contemplare al suo interno nel miglior modo possibile le esigenze di tutti, ma occorre ancora una volta essere estremamente attenti e capaci di comprendere fino in fondo le conseguenze delle scelte che saranno prese e ratificate, scelte che solo rispondendo equanimemente alle esigenze e alle specificità dei singoli stati membri, alle loro complessità strutturali e alla loro diversa struttura del tessuto sociale, economico e produttivo potranno garantire alle istituzioni europee quella rappresentatività e quella forza necessarie per competere in un mercato sempre più globale e competitivo.

*Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari