La riforma della giustizia va difesa, in barba ai capricci dei magistrati
23 Marzo 2011
"Riforma giustizia? Il governo non ha legittimità". Come ormai tutti sanno sono state queste parole, pronunciate dal segretario dell’ANM Giuseppe Cascini, ad inasprire ulteriormente il dibattito suscitato dalla “storica” riforma della giustizia, presentata dal Ministro Alfano e recentemente approvata dal Consiglio dei Ministri. Mentre l’attenzione dell’opinione pubblica è – giustamente – calamitata sui più gravi accadimenti di politica internazionale, maggioranza e ANM si preparano ad una battaglia che, considerata la posta in palio, sembra assumere i connotati dello scontro finale. Che tra l’Associazione Nazionale dei Magistrati e il governo non corresse buon sangue è considerazione piuttosto scontata ma nella nuova contesa c’è da registrare un elemento di novità assoluta, rappresentato dal “terribile” spettro che questa riforma, giusta o sbagliata, sia condivisa dalla maggioranza delle forze politiche presenti in Parlamento.
La conferma definitiva, certo, si avrà al momento del voto, ma non possono passare sotto silenzio le importanti aperture di Fini, di Casini e la evidente mancanza di argomentazioni della sinistra che, non potendo criticare una riforma per buona parte identica alla proposta uscita dalla bicamerale D’Alema del 1997, non si avventura in valutazioni sul merito della proposta ma si limita all’ordinaria amministrazione parlando di: “un’offensiva generale del premier contro la magistratura alla quale ci opporremo” (Bersani). E’ lecito a questo punto domandarsi se dopo tanti anni passati alla guida di Palazzo Chigi, studiando le più disparate riforme del sistema giudiziario, magari approvate e poi successivamente castrate dall’intervento della Consulta, non sia arrivato il momento in cui il Presidente Berlusconi abbia finalmente colto il cuore della questione, il vero nodo gordiano della vicenda giustizia, avvicinando gli ex alleati e scompaginando le fila dell’opposizione.
Il coraggio, ci sia concesso, di prevedere la separazione delle carriere dei magistrati “inquirenti” dai “giudicanti” con conseguenti due CSM era mancato al precedente governo Berlusconi. L’allora Ministro della Giustizia Castelli temeva che, con la costituzione di un CSM dei Pubblici Ministeri, si sarebbe definitivamente “liberata la tigre” ovvero si sarebbe costituzionalizzato un organo potenzialmente autoreferenziale, in grado di doppiare gli errori dell’attuale CSM (il più grave è di garantire la sostanziale impunità disciplinare per i magistrati che sbagliano) ma con l’aggravante di farlo ad uso e consumo dei magistrati inquirenti. Proprio per evitare tutto questo si è reso necessario introdurre dei correttivi nella nuova riforma quali la responsabilità civile per i P.M. che sbagliano (oggi diventata una laica bestemmia, ieri approvata dalla maggioranza degli italiani con il Referendum radicale) nonché pensare ai Pubblici Ministeri alla stregua di un "ufficio" organizzato secondo le norme sull’ordinamento e con la facoltà di esercitare l’azione penale secondo priorità stabilite dalla legge.
Tutto questo non necessita, chiaramente, di alcun placet da parte dei magistrati e men che meno dall’ANM. La Costituzione, recentemente celebrata e difesa in piazza proprio dal Dott. Ingroia, nel sancire l’indipendenza della Magistratura dal potere Esecutivo nulla dice riguardo la possibilità della prima di influenzare l’operato del Governo. Il diritto di critica sia chiaro appartiene ad ogni soggetto, qualunque sia la sua professione, ma diventa quanto meno bizzarro sentire l’ANM annunciare mobilitazioni prima ancora che il progetto di riforma approdi in Consiglio dei Ministri o assistere alla citata uscita del Dott. Cascini che annuncia agli italiani che il Governo non è legittimato a riformare la giustizia. Ma proprio perché parlare di riforma dell’ordinamento giudiziario, in Italia, suscita da sempre reazioni così scomposte ci sia concessa un’ennesima “follia” alla quale (forse) la maggioranza ha pensato anche in previsione della attuale riforma ma che non ha avuto il coraggio nemmeno di pronunciare.
Nel tentativo di configurare il P.M. come “l’avvocato dell’accusa”, chiamato a rappresentare lo Stato davanti ad un giudice terzo ed imparziale, ed equiparato nei suoi poteri all’avvocato della difesa, è forse indispensabile prevedere un CSM a questo dedicato? Esiste forse un CSM per l’avvocato dell’accusa nel sistema giudiziario americano al quale il nostro sistema sembra ispirarsi? La sensazione è che il percorso verso una giustizia “made in USA” sia soltanto agli albori e, ANM permettendo, serviranno altri lustri prima di vedere definitivamente entrare il P.M. dal giudice “con il cappello in mano”.