La riforma è legge, l’Università riparte dal merito e dà lo sfratto ai baroni

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La riforma è legge, l’Università riparte dal merito e dà lo sfratto ai baroni

23 Dicembre 2010

Il ddl Gelmini è legge. Viene così avviato il processo di riforma dell’Università voluto dal governo dopo tre giorni di dura bagarre tra maggioranza e opposizione a Palazzo Madama, coi continui tentativi del centrosinistra di rallentare la tabella di marcia dei lavori. Ma oggi per la sinistra non c’è stato nulla da fare contro un centrodestra compatto e deciso a portare a casa il risultato prima del nuovo anno.

L’aula del Senato ha così dato il via libera definitivo al testo approvato con 161 sì, 98 no e 6 astenuti. La maggioranza ha avuto l’appoggio di Fli, mentre Pd e Idv hanno votato contro. Astenuti i senatori di Udc, Api e Svp (anche se al Senato l’astensione vale come voto contrario). Già nel primo pomeriggio di oggi l’Aula aveva completato l’esame del ddl approvando tutti e 29 gli articoli dopo giorni di accesi scontri fra gli schieramenti. Ma alla fine sono stati bocciati gli 850 emendamenti presentati da Pd e Idv. Giunti alle ultime battute della discussione, la maggioranza è stata inoltre costretta a blindare il testo per evitare modifiche che lo potessero far tornare alla Camera per la valutazione di eventuali modifiche.

Mentre al Senato si concludeva l’esame degli emendamenti al ddl, alla Camera il ministro dell’Interno Roberto Maroni è intervenuto sulle proteste degli studenti che anche ieri, come è successo lo scorso 14 dicembre a Roma, hanno creato forti tensioni a Milano e a Palermo. Il ministro ha affermato che il "diritto al dissenso è sacrosanto e sarà sempre garantito dalle forze dell’ordine ma la violenza sarà sempre contrastata con ogni mezzo".

Con l’approvazione del ddl, arrivata subito dopo quella della legge di stabilità e la fiducia conquistata in entrambi i rami del Parlamento, il governo mette a segno tre obiettivi strategici e punta a proseguire lungo il solco della stabilità. Subito dopo il sì del Senato, il ministro Gelmini ha ringraziato i senatori di maggioranza e di opposizione "che in un dibattito inevitabilmente teso hanno fatto prevalere il senso di responsabilità e la passione politica". Plauso per il sì di Palazzo Madama anche da parte del presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri, secondo il quale la riforma "rappresenta un passaggio fondamentale della legislatura, dell’azione del governo Berlusconi e della maggioranza di centrodestra".

Anche il vicepresidente del gruppo Gaetano Quagliariello ha espresso soddisfazione durante il suo intervento in Aula, in risposta alla capogruppo Pd Anna Finocchiaro che ha definito il testo di riforma "la foglia di fico sui tagli che il governo ha impresso all’università e alla ricerca dopo averli impressi alla scuola". Quagliariello si è rivolto in particolar modo alla Gelmini e agli studenti "che si trovano in una situazione di insicurezza" a causa dell’ipoteca sul loro futuro lasciatagli in eredità dalle generazioni passate. E’ per questo, ragiona il vicecapogruppo Pdl, che il governo ha dovuto fare i conti la "zavorra di scelte sbagliate" che hanno impedito investimenti "sulla ricerca e sull’innovazione al pari di altri Paesi".

Dalle file dell’opposizione, invece, l’Idv ha duramente criticato il provvedimento, con il senatore Francesco Pardi che ha puntato l’indice contro la mancanza di fondi per l’attuazione della riforma. Di diversa opinione Federico Bricolo, presidente della Lega a Palazzo Madama: "Abbiamo approvato una legge che porta finalmente la meritocrazia nelle Università e al tempo stesso distrugge il sistema delle baronie. Inoltre, a differenza di altre leggi europee sulla materia, non aumenta di un solo euro le tasse agli studenti".

Ma al netto delle diverse posizioni politiche i cambiamenti saranno drastici. Ricapitoliamo qualche punto essenziale della riforma. Il primo intervento riguarda la governance: ovvero il rinnovo dei Cda degli atenei, che avranno maggiori responsabilità su assunzioni e spese, anche delle sedi distaccate. Il Consiglio, inoltre, non sarà elettivo ma fortemente responsabilizzato e competente, con il 40% di membri esterni. I direttori generali diventeranno veri e propri manager dell’ateneo, mentre i rettori avranno mandati di massimo 6 anni. Anche i ricercatori saranno assunti con contratti di 6 anni al massimo e l’operato dei docenti sarà valutato attraverso l’obbligo di relazione triennale. I professori ordinari potranno essere titolari di cattedra non oltre i 70 anni. Il ddl prevede poi la fusione o la federazione degli atenei (massimo 12 facoltà ciascuno) con meno iscritti o settori di attività simili, e meno finanziamenti a quelli che non produrranno qualità (a valutare saranno anche gli studenti).

Giro di vite anche su nepotismi accademici, con l’impossibilità di partecipare a concorsi se all’interno dell’ateneo si hanno parenti fino al quarto grado. Incentivi per consentire ai ricercatori italiani che hanno svolto un dottorato all’estero di poter tornare a lavorare in Italia. Limite al 5%, infine, degli organici di ruolo per la stipula di contratti di docenza e ricerca con esperti esterni a titolo gratuito. Quanto a futuri altri cambiamenti alla riforma, il governo ha tenuto ferma la linea di eventuali correzioni con un emendamento al decreto ‘milleproroghe’. 

Insomma, un passo importante del governo in direzione della trasparenza, della meritocrazia e della complessiva riqualificazione degli atenei italiani. Ma, nonostante il successo incassato oggi, l’esecutivo dovrà mantenere i nervi saldi non appena il Parlamento riprenderà la sua attività. E a gennaio c’è già il nodo sul legittimo impedimento con il pronunciamento della Consulta.