La riforma economica a Cuba
02 Agosto 2010
di redazione
Qualcuno, di fronte alla crisi economica che ha sconvolto l’economia occidentale negli ultimi anni, ha annunciato la fine del capitalismo e di un modello di sviluppo economico che ormai sarebbe alle corde, complici le potenze emergenti destinate, prima o poi, a pareggiare i conti con l’America e l’Europa, colonialiste e neocolonialiste ma ormai destinate a una condizione postuma.
Abbiamo ascoltato tutta una serie di stregoni della finanza e cassandre no global che mettevano in guardia dalle ricadute della globalizzazione, scoprendo invece che questo fenomeno di portata storica, possiamo definirlo effettivamente un cambiamento epocale, ha fatto uscire milioni di persone dalla fame e dalla povertà – sempre in nome del mercato, della mobilità dei lavoratori, dell’abbattimento delle frontiere nazionali, etniche, tribali.
E ne siamo ancor più convinti oggi quando l’ultimo paradiso balneare comunista, l’Isola di Cuba, risponde alle tempeste economiche liberalizzando, a modo sono, certe professioni pubbliche, come i tassisti o i barbieri. Raul Castro, accanto alla sedia vuota del fratello Fidel, parla di flessibilizzazione del lavoro e nuove politiche fiscali, spiegando che lo stato deve ritirarsi da alcune attività. Cuba resta comunista, ci mancherebbe, ma qualche mercato si sta aprendo anche lì.