La riforma Fornero finirà col partorire il ‘contributo di licenziamento’

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La riforma Fornero finirà col partorire il ‘contributo di licenziamento’

14 Marzo 2012

Comincia a delinearsi la riforma del mercato del lavoro targata Fornero. Dopo l’incontro di lunedì, durante il quale sono stati improvvisamente accelerati i tempi di conclusione dei lavori (riforma in 10-12 giorni), ieri il ministro ha inviato alle Parti sociali (sindacati e imprese) la proposta relativa agli ammortizzatori sociali, una parte del complesso progetto di riforma.

Oggi è previsto il nuovo incontro, sempre tra Fornero e leader di Cgil, Cisl e Uil, per discutere sul terzo e ultimo punto di riforma, ossia la modifica dell’art. 18, in vista dell’appuntamento fissato a lunedì prossimo e al quale parteciperà anche il premier, Mario Monti. Scartata fortunatamente l’idea di una riforma impiantata sul contratto unico d’ingresso – è stato lo stesso ministro ad escludere l’arrivo di “un contratto unico o dominante” – il progetto di riforma sembra muoversi su tre direttrici: a) contratti atipici (flessibilità in entrata); b) ammortizzatori sociali; c) art. 18 (flessibilità in uscita).

Sul primo punto (flessibilità in entrata) non ci sono novità particolarmente rilevanti. Per il ministro, infatti, i diversi contratti di lavoro flessibili introdotti dal pacchetto Treu fino alla legge Biagi hanno tutti una propria peculiarità e una ragione d’essere; pertanto, dovranno essere sottoposti ad una più stretta verifica, ma nessuno di essi verrà cancellato.

In particolare, la Fornero ritiene d’intensificare la vigilanza da una parte aumentando i controlli nelle aziende e dall’altra, indirettamente, mediante l’adozione di incentivi/disincentivi basati sull’aumento/riduzione dei contributi obbligatori pagati dalle imprese. Il meccanismo è spiegato nel piano di riforma degli ammortizzatori sociali, che il ministro ha inviato ieri “riservatamente” ai vertici delle associazioni sindacali e delle imprese, dove è previsto il raddoppio dell’aliquota contributiva della nuova “Aspi” (la nuova indennità di disoccupazione): si pagherà, infatti, l’1,3% per i contratti a tempo indeterminato e il 2,7% per quelli a termine (quindi con un 1,4% in più).

Su questo primo punto, probabilmente, andrebbe fatto di più e anche diversamente. Un dato diffuso proprio in questi giorni aiuta a capire che dinamiche sono in corso sul mercato del lavoro e sulle possibili ripercussioni derivanti da un aumento del costo del lavoro. E’ il dato sulle nuove Partite Iva, diffuso dal ministero dell’economia.

Nel mese di gennaio sono state aperte 87.553 nuove Partite Iva, con un incremento del 4,5% rispetto a gennaio 2011 e del 243% rispetto a dicembre (dato ritenuto “scarsamente significativo”). Nel 53,2% dei casi la nuova partita iva è stata aperta da giovani fino a 35 anni ed “è l’unica classe di età che mostra un aumento di aperture rispetto allo scorso anno”. Come possono interpretarsi questi dati? Diverse le supposizioni, tra cui quella per cui l’aumento delle partita iva denota una certa “vitalità” ripresa dall’economia, per cui sul mercato si ricomincia a chiedere manodopera.

Ottima cosa; tuttavia non si sa che tipo di manodopera è richiesta: sono veramente tutte nuove imprese o nuovi professionisti  quelle nuove partite iva? O, piuttosto, hanno come contropartita una sola azienda o committente? Il problema è proprio questo: il fatto che dietro una Partita Iva possa nascondersi un falso lavoratore dipendente è una stortura oggi esistente sul mercato del lavoro e alla cui correzione certamente non contribuisce l’aumento del costo del lavoro dei contratti subordinati flessibili.

In un’ipotetica scala di valore dei rapporti di lavoro, basata sul grado di tutele garantite ai lavoratori, al primo posto c’è il contratto a tempo indeterminato (il lavoro “dipendente”), al secondo quello a termine, poi il lavoro a progetto (e gli altri contratti “flessibili”), infine le partite iva. Ecco, oggi il mercato del lavoro è su quest’ultimo gradino; la preoccupazione è che, con un aumento del costo del lavoro dei contratti flessibili, si rischia di scivolare fuori dalla scala, cioè nel lavoro “nero”.

Sul secondo punto di riforma (ammortizzatori sociali) l’idea del ministro mira a riformare l’intero sistema (cassa integrazione, mobilità e disoccupazione). I nuovi ammortizzatori poggeranno su tre pilastri: un’assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) a carattere universale che sostituisce tutte le vecchie indennità di disoccupazione e l’indennità di mobilità (la cui abrogazione sarà graduale nel tempo entro il 2015); alcune tutele in costanza di rapporti di lavoro (cassa integrazione ordinaria, straordinaria e fondi di solidarietà); e gli “strumenti di gestione degli esuberi strutturali”. Il nuovo regime dovrebbe scattare dal 2015, e quindi due anni prima rispetto a quanto programmato in precedenza.

Il nuovo sussidio Aspi può arrivare per tutti fino al massimo di 1.119,32 euro lordi al mese e per un periodo non superiore a 12 mesi, allungabile a 18 mesi nel caso di disoccupati con oltre 55 anni di età. Per pagare questo nuovo sussidio Fornero propone di introdurre un contributo uguale per tutti dell’1,3% sulla retribuzione lorda; tuttavia, le imprese non dovranno più pagare l’attuale contributo per la disoccupazione (che in genere è pari all’1,31%, salvo che per gli artigiani per i quali è dello 0,40% e per alcuni settori come i bar e ristoranti che è dello 0,18%) né il contributo per la mobilità (pari allo 0,30%). Come accennato prima, la Fornero prevede un’aliquota aggiuntiva dell’1,4% (quindi per il totale del 2,7%) per i lavoratori con contratto a termine, che verrebbe però recuperata dall’azienda se poi il lavoratore è assunto a tempo indeterminato.

Massimo riserbo sul terzo punto di riforma, quello dell’art. 18. Qualcosa di più si attende di sapere oggi dalla riunione tra ministro e sindacati; anche se è più probabile che la decisione definitiva sarà presa domani al vertice di Monti con i Partiti, trattandosi di argomento su cui il segretario del Pdl, Angelino Alfano, ha fortemente battuto l’accento di “prima necessità” (“lavoro, lavoro, lavoro”). Il vivace nervosismo che traspare da una parte politica (PD) e dagli stessi sindacati lascia immaginare, inoltre, una sottintesa volontà del governo a procedere in qualche sostanziale ritocco alla flessibilità in uscita.

L’indizio c’è; è l’introduzione di un nuovo “contributo di licenziamento” previsto dalla Fornero nel piano di riforma degli ammortizzatori sociali che ieri ha inviato ai sindacati. Le aziende dovranno versarlo all’Inps “all’atto del licenziamento (solo per i rapporti a tempo indeterminato)” in misura pari a mezza mensilità di indennità “per ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni (compresi i periodi di lavoro a termine)”.