La riforma Fornero imporrà più tasse alle imprese e darà meno tutele

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La riforma Fornero imporrà più tasse alle imprese e darà meno tutele

21 Marzo 2012

E’ stata desolante la giornata di ieri. Un teatrino di incontri e di conferenze stampe sul tema della riforma del mercato del lavoro, sapendo che nulla si sarebbe concluso. Ciascuno ha potuto dire la sua (sindacati ed imprese), mentre il governo si è limitato al facile compito di riassumere le idee (degli altri). Ne è venuta fuori una macedonia di proposta che di ‘riforma’ sa ben poco.

Insomma oltre un chiarimento delle posizioni (notissime già in partenza), non sembra si sia fatto passo avanti. Due gli ingredienti che sono finora mancati: un progetto ‘organico’ di riforma (c’era da aspettarselo da un Governo ‘tecnico’: qual è l’idea di Monti? quale quella di Fornero?) e il coraggio come valore e come volontà di riformare nel vero senso della parola.

In conclusione il Governo ha gettato la spugna e passato il compito al Parlamento, dove la riforma è più facile che possa finire imboscata per non arrivare mai, così che nessuno potrà dire di aver perso né vinto la partita. Sarà pure una mossa azzeccata per tranquillizzare i mercati e l’Europa – il Premier affronterà a breve “un road-show all’estero per presentare la nuova Italia” –; ma prima dell’Europa c’è il Paese e gli italiani, e questo tardare ulteriormente è sicuramente un grave danno.

Tre le direttrici tematiche di intervento finora individuate: la flessibilità in entrata, con una “stretta” ai contratti di lavoro flessibili; gli ammortizzatori sociali; e la flessibilità in uscita, ossia i licenziamenti individuali. Ieri ha tenuto banco la discussione sul terzo punto che, in sostanza, verte sul famigerato art. 18.

In base a quanto ‘verbalizzato’ dal ministro Fornero, l’art. 18 dovrebbe rimanere integro solamente per i licenziamenti discriminatori ed anzi sarà estero anche alle imprese con meno di 15 dipendenti; per quelli disciplinari, invece, sarà il giudice a decidere tra reintegro o indennizzo fino a un importo massimo di 27 mensilità, tenendo conto dell’anzianità del lavoratore; per quelli per motivi economici, infine, sarà previsto solo l’indennizzo da un minimo di 15 fino al massimo di 27 mensilità.

Stante questa cornice di princìpi è preoccupante il quadro di riforma che ne potrebbe venir fuori. E’ una cornice che aumenta il costo del lavoro alle aziende e riduce la copertura delle tutele ai lavoratori. Aumenta il costo del lavoro perché alza i contributi previdenziali, senza tuttavia prevedere una estensione (in durata o campo di applicazione) degli ammortizzatori sociali.

Aumenta il costo del lavoro perché introduce nuovi laccioli burocratici e accentua il ruolo di “vigilantes” allo Stato. Aumenta il costo del lavoro, infine, perché estende l’articolo 18 alle piccole imprese, con tutte le conseguenze negative che ne possono scaturire in sede giudiziaria (in tema di lavoro è stata sempre “creativa” la giurisprudenza).

Oltre al costo del lavoro, è poi preoccupante l’assenza di una benché minima interconnessione tra le tre direttrici di riforma, segno della mancanza di un progetto organico. Gli interventi su flessibilità, ammortizzatori sociali e art. 18 seguono ognuno una propria via, senza considerare le influenze che ciascuna parte produce inevitabilmente sulle altre. E’ una mancanza che penalizza lo status dei lavoratori.

Un aumento della rigidità dei contratti, per esempio, non dà per scontato un aumento della propensione nelle aziende ad assumere a tempo indeterminato; è anzi più facile, come insegna l’esperienza (perché è più conveniente), che si ritorni a guardare al lavoro nero. Una proposta ‘organica’ di riforma, invece, è quella che guarda al “mercato del lavoro”; che tiene conto, cioè, di tutto il lavoro e di tutti gli attori.

E’ organica la riforma che indirizza il Legislatore a limitare alcuni tipi di rapporti di lavoro, come può essere, per esempio, il divieto all’utilizzo delle co.co.pro. in attività manuali. E’ organica la riforma che comprende tutti i tipi di contratti di lavoro, e non solo quello dipendente, quando si tratta di tutele degli ammortizzatori sociali.

E’ organica la riforma che invita a cancellare l’art. 18 prevedendo, in cambio, l’introduzione di un’indennità di licenziamento (non un’indennità fino a 25 mensilità a carico della singola impresa) finanziata da un aumento generalizzato di contributi a carico di ‘tutte’ le imprese (sopra certe dimensioni), così da traslare sul mercato del lavoro quella “tutela della stabilità” – giustissima e irrinunciabile quanto fin troppo onerosa per la singola impresa – che oggi (e domani nei pensieri del governo) è sul groppone delle singole aziende.

Finora è mancato, infine, il coraggio di fare una riforma nel vero senso della parola, come dimostra il fatto (paradossale) che con la mano destra il Governo fa le liberalizzazioni e con la sinistra (ri)burocratizza il mercato del lavoro. Stasera alle 18, infatti, è previsto il voto di fiducia sul decreto liberalizzazioni che, tra l’altro, introduce la semplificazione delle comunicazioni di assunzione nel settore del turismo.

Questa norma sarà probabilmente cancellata se si vorrà tenere fede alla riforma del lavoro: è l’esatto contrario di ciò che il ministro Fornero ha proposto sul tema della flessibilità in entrata, cioè l’irrigidimento dei controlli dello Stato, di cui si tornerà a parlare domani, al nuovo incontro tra Governo e Parti sociali.