La riforma Fornero non aiuterà le imprese a creare nuovo lavoro

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La riforma Fornero non aiuterà le imprese a creare nuovo lavoro

La riforma Fornero non aiuterà le imprese a creare nuovo lavoro

04 Luglio 2012

E’ legge la riforma Fornero del mercato del lavoro. E’ legge n. 92, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 Luglio, che entrerà in vigore il prossimo 18 Luglio, dopo i canonici quindici giorni di pubblicazione. Non tutte le nuove norme diventeranno operative a partire da quella data. La riforma degli ammortizzatori sociali, per esempio, comincerà il suo percorso di sostituzione all’attuale sistema a partire dal 1° Gennaio 2013.

Le novità che esplicheranno immediatamente i propri effetti sono quelle relative ai contratti di lavoro – che introducono un’irragionevole stretta alla flessibilità in entrata – e quelle relative alla riforma dei licenziamenti e del famoso art. 18 – che mirano (senza riuscirci) ad incrementare la flessibilità in uscita. Il fallimento annunciato della riforma sta tutto in questo dualismo, concettuale e purtroppo anche pratico: l’introduzione di una stretta alla flessibilità in entrata senza un proporzionale aumento della flessibilità in uscita. Un dualismo assurdo, se letto nell’attuale preoccupante scenario sociale di una crisi economica e occupazionale senza (recenti) precedenti.

Partiamo da quest’ultimo aspetto. Il dato pubblicato dall’Istat due giorni fa lascia senza parole. Le rilevazioni effettuate a Maggio, infatti, evidenziano un calo della disoccupazione in termini assoluti, ma espongono un dato allarmante per la disoccupazione giovanile. Secondo l’Istat, il tasso di disoccupazione è fermo al 10,1%, in lieve diminuzione rispetto al 10,2% del mese scorso, ma in aumento (+1,9%) rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (Maggio 2011). Gravissima, invece, è la situazione dei giovani, di coloro che hanno un’età compresa tra i 15 e i 24 anni, e che pagano tutto il peso del disastro della crisi (e delle mancate decisioni di riforma): il tasso di disoccupazione, tra Aprile e Maggio, è cresciuto dello 0,9%, raggiungendo la cifra del 36,2%. C’è poco da sorridere. Il record è storico: il dato più alto dal 1992. E’ disoccupato, insomma, più di un giovane su tre di coloro che partecipano attivamente al mercato del lavoro. Le cose non vanno meglio nell’area euro.

Secondo l’Eurostat, a Maggio il tasso di disoccupazione ha raggiunto l’11,1%, dall’11% di Aprile. Ed è un nuovo massimo storico. Fra gli Stati membri, i tassi di disoccupazione più bassi si sono registrati a maggio in Austria (4,1%), Olanda (5,1%), Lussemburgo (5,4%) e Germania (5,6%); i tassi più alti in Spagna (24,6%), Grecia (21,9% il dato è di Marzo), Portogallo (15,2%) e Irlanda (14,6%). I tassi di disoccupazione giovanili più bassi sono registrati in Germania (7,9%), Austria (8,3%) e Olanda (9,2%); i tassi più alti riguardano Spagna (52,1%) e Grecia (52,1% il dato è di Marzo), seguiti da Slovacchia (38,8%), Portogallo (36,4%) e Italia (36,2%).

Ma torniamo a noi. In un simile scenario di grave difficoltà occupazionale specie giovanile, la riforma Fornero fruttificherà nuovi posti di lavoro e, quindi, l’atteso rilancio dell’occupazione? La risposta appare negativa. Al di là di filosofie e di credo dottrinali, a suggerire il risultato è la mera riflessione sul comportamento, razionale, che ci si può attendere dalle imprese. Infatti, è scontato che le imprese che non hanno assunto fino a oggi, non lo faranno neppure domani a maggior ragione quando entrerà in vigore la riforma Fornero che irrigidisce il mercato del lavoro, sovraccarica i rapporti di lavoro e incrementa il costo del lavoro. Mancano, dunque, i presupposti capaci di incoraggiare le imprese ad avventurarsi in nuovi flirt di produzione e occupazione; perciò, salvo non fiutare la ‘sicurezza’ del nuovo affare, le imprese rimarranno in retroguardia, in difesa del ‘certo’ e del ‘sicuro’, in attesa di tempi migliori.

“E’ solo retorica e preconcetto” potrebbe essere l’accusa mossa a queste conclusioni. E allora passiamo ai fatti: tocchiamo con mano le novità della riforma Fornero. Un giudizio obiettivo richiederebbe l’analisi di tutte le novità, una per una. Non essendo possibile per ovvie ragioni di spazio, sia concessa una semplificazione esemplificante con la concentrazione dell’analisi sui contratti ‘madri’ di tutte le polemiche sulla flessibilità-precarietà: co.co.co. e partite Iva.

Le novità introdotte dalla legge Fornero (su co.co.co. e partite Iva) sono quelle maggiormente preoccupanti. Le aziende di call center, per esempio, rischiano di dover assumere 30 mila persone e perciò hanno minacciato di ricorrere a esodi di massa. Si potrebbe obiettare che “si tratta di posti di lavoro dove giovani vengono sfruttati e che finalmente vengono smascherati”. In realtà, le cose non stanno in questi termini; infatti, quei rapporti di lavoro sono pienamente legittimi, carichi comunque delle loro caratteristiche e peculiarità (inclusa la temporaneità) e rispondono a regole ‘bipartisan’, cioè a disposizioni dettate da Maurizio Sacconi (Pdl) e Cesare Damiano (Pd), quando ciascuno ha rivestito la carica di ministro del Lavoro. La riforma Fornero, adesso, impone di trasformare quei ‘rapporti di lavoro’ in ‘posti di lavoro’, cioè in contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, con un esasperante incremento di costi che renderà sicuramente più conveniente dismettere quel servizio o traslocarlo in altri Paesi.

Sia per le co.co.co. che per le partite Iva, la riforma Fornero introduce delle presunzioni di legge. Introduce la ‘presunzione di subordinazione’ per le co.co.co. che prevedano lo svolgimento delle attività con modalità analoghe a quelle dei dipendenti dell’azienda committente, salvo prova contraria del committente ed escluse le prestazioni ad alta professionalità; e introduce la ‘presunzione di parasubordinazione (e di subordinazione per induzione: se non è parasubordinato, allora è subordinato)’ per le partite Iva qualora ricorrano due di tre presupposti: a) collaborazione di durata superiore a 8 mesi in un anno solare; b) corrispettivo oltre l’80% dei corrispettivi complessi incassati dal collaboratore in un anno solare; c) collaboratore che disponga di una postazione fissa presso una delle sedi del committente.

Le due ‘presunzioni’ certificano la carica ideologica di questa riforma del lavoro che, purtroppo, scaricherà tutte le negatività sulla nostra già traballante situazione occupazionale e sociale, specie su quella dei giovani. Con le due ‘presunzioni’, la riforma Fornero ipoteca il futuro dei giovani a una sempre maggiore difficoltà di trovare occupazione: crea un clima di aleatorietà per le decisioni delle imprese, le quali preferiranno rinviare la scelta di nuove produzioni (quando non sia possibile farla verso altri lidi – come potrebbe accadere per la Fiat di Marchionne, dopo le note vicende giudiziali), rinunciando se necessario anche a quote ulteriori di produzione, se ciò dovesse bastare a preservare il risultato finale d’impresa.

Questo non è ‘presumere’ (e ci auguriamo sinceramente di sbagliare), ma fare i conti con la realtà di chi (le imprese), tutti i giorni, deve proporsi e vincere la sfida su un mercato globalizzato.