La ‘riforma’ Griffi rende un pessimo servizio al pubblico impiego
09 Maggio 2012
Nella notte tra il 3 e il 4 Maggio è stata raggiunta tra il ministro della Pubblica Amministrazione Filippo Patroni Griffi, le Regioni, le Province, i Comuni e i sindacati, la bozza di accordo tesa a un (ulteriore) riordino della disciplina del pubblico impiego, nonché al suo adeguamento con il testo del progetto di legge Fornero di riforma del mercato del lavoro. Patroni Griffi si è subito detto fiducioso di poter trasformare quanto deciso nell’intesa di Venerdì scorso in un disegno di legge delega da presentare al più presto alle camere.
L’accordo di venerdì, rispetto alla disciplina dei licenziamenti individuali, rappresenta una sconfessione in piena regola delle disposizioni previste nella riforma del lavoro approvata dal governo Monti nel mese scorso. Una chiara ‘antinomia’ giuridica riguardo a quanto stabilito all’art. 2 di quel testo: la norma contenuta in quell’articolo, infatti, assicurerebbe l’applicazione della riforma anche ai “rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”.
In tema di flessibilità in uscita, l’esecutivo aveva optato per il ‘modello tedesco’: sui licenziamenti economici, nel caso dell’accertamento dell’illegittimità, il giudice potrà – sempre se le Camere non dovessero emendare tale disposizione – decidere tra il reintegro o la corresponsione di un indennizzo compreso tra 15 e 27 mensilità. Stessa sorte per i licenziamenti disciplinari. Reintegro, invece, e anche per le aziende al di sotto dei 15 dipendenti, nei licenziamenti discriminatori.
Secondo l’interpretazione testuale di quanto previsto all’art. 2, la disciplina dei licenziamenti previsti per i lavoratori delle imprese private si sarebbe dovuta applicare anche al comparto pubblico. Invece no. La bozza Patroni Griffi dovrebbe inserirsi nel solco di un aperto ritorno allo status quo pre art. 2 della riforma Fornero. Stando al testo dell’intesa, se il giudice adito dal lavoratore pubblico licenziato dovesse accertarne la natura illegittima, non avrebbe a sua disposizione la discrezionalità tra l’indennizzo o il reintegro, ma sarebbe costretto a scegliere esclusivamente la seconda ipotesi.
Dipendenti statali e privati sono stati da sempre inquadrati in cornici giuridiche differenti. Eppure, a partire dai primi anni ’90, si è assistito a un progressivo e inesorabile avvicinamento normativo tra le due categorie. In questo senso, la bozza Patroni Griffi costituisce una battuta d’arresto per un processo considerato come necessario da gran parte degli italiani che vedono troppo spesso nelle amministrazioni pubbliche inefficienze, sprechi, rendite di posizione e scarsissima attenzione ai loro bisogni.
Il testo dell’accordo, tuttavia, non traccia soltanto un quadro di riferimento della disciplina dei licenziamenti, concentrandosi altresì sull’organizzazione e sulla disciplina del lavoro alle dipendenze pubbliche nel suo complesso: criteri di ‘premialità’, contrattualistica e rapporti con i sindacati. E’ lo stesso ministro della Pubblica Amministrazione a disegnarne i contorni, in una lettera pubblicata domenica scorsa dal Corriere della Sera. Eccone alcuni stralci: “Il sistema di premialità non verrà smantellato, ma, da una parte, verrà privilegiato l’aspetto della performance organizzativa nel senso di misurare il buon risultato dell’unità organizzativa e, nell’ambito di questa, valutare il dipendente e, soprattutto, il dirigente”. In tema di contratti, stop all’abuso del tempo determinato ed esclusivo accesso per concorso. Infine, sul coinvolgimento dei sindacati, “a fronte di una estromissione totale dei sindacati da ogni processo organizzativo, si potranno prevedere che alcuni temi di rilevanza ‘collettiva’, come nel privato, siano esaminati congiuntamente da datori di lavoro e lavoratori, fermo restando che alla fine ciascuno assumerà le decisioni che gli competono”.
Per il predecessore di Patroni Griffi, Renato Brunetta – anch’egli ospite del del Quotidiano di Via Solferino – ci troveremmo “di fronte a una contro-riforma, a una restaurazione degli antichi vizi e riti concertativi. Quella che ci si prospetta – ha proseguito Brunetta – è una resa alla cattiva burocrazia e al cattivo sindacato, che in questi anni quelle riforme hanno osteggiato”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Francesco Forte, già ministro delle Finanze ed editorialista economico de L’Occidentale. Contattato dalla redazione, sui criteri di ‘premialità’ dei dipendenti pubblici e in merito al principio secondo cui, per la valutazione dei dipendenti pubblici, d’ora in avanti, non si farà più riferimento al singolo lavoratore ma all’unità organizzativa, il Prof. Forte ha dichiarato: “La riforma Patroni Griffi è contro i lavoratori del pubblico impiego. Nella maggior parte dei casi si tratta di lavoratori ‘sfortunati’, costretti a lavorare in condizioni sfavorevoli o anche, addirittura, al posto di colleghi nullafacenti. Rappresenta un sacro interesse del cittadino usufruire di un efficiente ed evoluto comparto pubblico. La gente è infuriata dal ‘più tasse e meno spesa’ – ha continuato Forte -, non vede alcun corrispettivo e si augurerebbe ‘almeno’ dei servizi migliori. Sarebbe auspicabile, pertanto, proseguire a distinguere tra chi lavora bene e chi lavora male. La proposta Patroni Griffi, indubbiamente, non va in questa direzione”.
“Se questa riforma dovesse passare – ha concluso Forte -, il Pdl dovrebbe andare all’opposizione e non assicurare più il voto a questo governo non più all’altezza delle sfide attuali. L’unica soluzione possibile e auspicabile, quindi, diverrebbe il voto anticipato”.