La riforma, la UE e l’Italia come “espressione di Google Maps”
28 Ottobre 2016
di Daniela Coli
Tra i principali motivi per votare NO al “referendum costituzionale” del 4 dicembre vi è la costituzionalizzazione del vincolo esterno, a cui non fa alcun riferimento il testo a cui si deve dire sì o no, che parla solo di “disposizioni” approvate dal parlamento per il “superamento del bicameralismo, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II Costituzione”. Non si fa cenno alla costituzionalizzazione del vincolo esterno, che in pratica significa un ulteriore passo avanti nella cessione di sovranità nazionale a Bruxelles.
Così, mentre il premier obamiano minaccia sfracelli contro Juncker e la Merkel se non gli sarà concessa ulteriore flessibilità, fa l’euroscettico, il populista per acquistare consensi in patria (il “troublemaker” ad uso del consenso interno, come lo definiscono in Europa), con la benedizione di Napolitano, se il referendum sarà approvato si prepara invece a fare dell’Italia un’espressione di Google Maps (chi non ricorda la sprezzante definizione di Metternich sull’Italia “mera espressione geografica?). Mentre da tutte le tv dichiara continuamente che se vincerà il Sì l’Italia avrà finalmente un governo forte e autorevole (il suo) e potrà quindi tenere testa ai burocratici e tecnocrati di Bruxelles e aumentare il debito, nella realtà il boyscout di Obama si prepara a farci diventare giardinieri e camerieri dei tedeschi, come prevedeva Niall Ferguson qualche anno fa.
Ora, la storia del vincolo esterno è lunga. Non dobbiamo scandalizzarci troppo, perché l’Italia unita – a parte la retorica risorgimentale da Mussolini a Ciampi e Napolitano – è nata vincolata. Senza l’ok dell’impero britannico al quale serviva uno stato cuscinetto in un Mediterraneo lago britannico, il Regno d’Italia forse non sarebbe mai nato, ed è sopravvissuta come repubblica portaerei americana dal 1945. Fallita l’architettura della guerra fredda, il vincolo esterno dell’Europa tedesca è sembrato da Carli a Ciampi a Napolitano l’unico modo per sopravvivere e addirittura per riformarsi. Tentativo fallito, perché l’Italia non sembra avere una classe dirigente capace di riformarla e indirizzarla, e quando non esiste una tale classe dirigente, qualsiasi vincolo esterno è inutile.
Corporazioni e lobby annullano qualsiasi tentativo di riforma di qualsiasi governo, e per rimettere in piedi un paese ridotto a hub per migranti, o per chiedere soldi all’Ue, non occorre certo un referendum per affidarsi alla governance europea. E questo proprio mentre l’Ue si sta squagliando per la Brexit, che ha l’appoggio dell’Europa del Nord, dell’Austria, dell’Ungheria, che hanno confermato la sospensione di Schengen. La virtuosa e prospera Germania, già descritta da Machiavelli come un modello nei Discorsi, sta a guardare. Come si è dissolto il muro di Berlino, un giorno magari si dissolverà l’Ue, e i tedeschi torneranno felici al marco, più forti di prima. L’Italia, senza un grande progetto, che tenga conto della sua posizione geopolitica e dei suoi rapporti col Mediterraneo, potrebbe tornare davvero a essere la penisola divisa in varie zone d’influenza straniera che è sempre stata nella sua lunga storia. Sta alla politica evitare che questo avvenga, e che il vecchio Metternich, a due secoli di distanza, si prenda la sua rivincita.