La rigidità della Germania sulla Bce rimetterà in sella i socialisti d’Europa
14 Dicembre 2011
Nel noto salottino radiofonico francese del giornalista francese Jean-Michel Aphatie, il candidato socialista alle presidenziali francesi, François Hollande ha dato la misura di quello che sarà il refrain della sinistra continentale in tutte le competizioni elettorali che avranno luogo per i prossimi due anni nei vari paesi dell’Unione Europea sull’accordo raggiunto a Bruxelles lo scorso 9 Dicembre 2011 e più in generale sulla ‘lezione tedesca’ contro la crisi.
Il candidato socialista ha affermato che se sarà eletto presidente della Repubblica la prossima primavera, chiederà “una rinegoziazione dell’accordo sull’unione fiscale” chiuso lo scorso 9 Dicembre al Consiglio Europeo di Bruxelles perché, a suo dire, senza la crescita il rigore non serve a nulla.“Chiederò che la Bce divenga prestatore di ultima istanza e che sia messa in condizione di emettere degli eurobond”.
E’ evidente che oltre alla criticità al sistema di governance rappresentato da ciò che imperfettamente è stato costruito nel processo d’integrazione europea, la crisi del debito sovrano europeo è soprattutto la crisi di un modello economico fatto di troppa spesa pubblica. E dunque che un socialista e keynesiano come François Hollande si metta a recitare la parte dell’uomo della crescita, di per sé è poco credibile. Ma tant’è.
Se dunque l’argomento di discussione è proprio l’accordo europeo raggiunto dai 26 paesi dell’UE lo scorso venerdì a Bruxelles – quello della doppia velocità, dell’unione fiscale, del “gran rifiuto” inglese che ha costretto i 23 dell’UE a prendere la via di un nuovo trattato piuttosto che la modifica di quelli già esistenti – esso sembra essere già finito sulle secche. A poco meno di una settimana dal suo raggiungimento si fanno sentire un sacco di malumori nelle cancellerie in molti paesi dell’Unione Europea e non solo.
Innanzitutto i mercati e le agenzie di rating internazionali non hanno gradito fino in fondo l’idea. Benché l’ultima asta dei titoli italiani dell’altro ieri sia andata abbastanza bene, i rendimenti dei titoli di debito sovrani italiani a dieci anni hanno raggiunto il 6,52%, dal 6,34%, mentre quelli a cinque anni sono tornati a 6,70% dopo aver infranto la barriera psicologica del 7%.
Insomma non proprio incoraggiante per un accordo frutto del Consiglio Europeo che doveva “salvare l’Europa”. Anche certe cancellerie europee che inizialmente avevano ingoiato il diktat di Frau Merkel, iniziano a fare dei distinguo e a attaccare l’accordo.
Ovviamente nessuno batte ancora i pugni sul tavolo, come ha fatto il premier inglese, David Cameron che ha posto il veto britannico alla modifica dei trattati, ma certo il monolitismo dei 26 contro la Gran Bretagna – ritrovatasi ancora una volta con in faccia la maschera della “perfida Albione” isolazionista ed euroscettica – sta venendo meno ora dopo ora, giorno dopo giorno.
In Austria, il premier socialista, Werner Faymann – uno dei pochi ancora in sella della sua famiglia politica ma chissà cosa ci attende in futuro – in un’intervista ha accusato l’accordo di essere di fatto insufficiente a rafforzare i problemi finanziari dell’eurozona.
In Polonia e in Repubblica Ceca (due paesi ancora fuori dall’euro ma dentro al Sistema europeo delle Banche centrali) nei rispettivi esecutivi c’è chi storce il naso per la quantità di denari che saranno costretti a conferire al FMI e in quei paesi c’è chi parla apertamente d’accordo penalizzante.
Senza contare che l’idea dell’unione fiscale potrebbe incontrare seri ostacoli legali. Di fatto non è chiaro come la commissione potrà effettivamente imporre delle sanzioni semi-automatiche ai paesi che sforino parametri di budget.
Se è vero comunque che l’accordo di venerdì scorso è nato con l’obiettivo di calmierare i mercati (operazione non riuscita), di certo il suo raggiungimento ha aumentato la conflittualità politica tra le nazioni europee per la maggior parte governate da governi conservatori, compreso lo strano esecutivo tory-libdem della Gran Bretagna. Basti ricordare che l’Unione Europea è nata proprio da un progetto politico ruotante proprio sull’abbattimento della conflittualità politica sul continente.
In conclusione non è da escludere che il conflitto sul ruolo da far assumere all’Eurotower – prestatore d’ultima istanza o meno – non permetta ai François Hollande di tutta Europa di riprendersi lo scettro del potere e riproiettare i socialisti al governo di ciò che nel frattempo sarà rimasto dell’Europa e della sua economia. Avremo a quel punto solo un politico da ringraziare: Angela Merkel.