La rimonta di Sky segna l’uscita di scena di Gentiloni

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La rimonta di Sky segna l’uscita di scena di Gentiloni

La rimonta di Sky segna l’uscita di scena di Gentiloni

29 Gennaio 2008

Governo istituzionale o elezioni subito? Tra gli
argomenti di chi, in queste ore, sostiene la prima ipotesi, c’è la necessità di
portare a compimento una serie di iniziative legislative già in via di
approvazione, che altrimenti non vedranno mai la luce. E per fortuna, viene da
dire: la maggior parte si tratta di riforme di poco o nessun effetto, di
grande richiamo ma di dubbia efficacia, superflue, o addirittura dannose. E’ il
caso del decreto legge che porta il nome del’ex ministro delle Comunicazioni,
Gentiloni, destinato a superare la precedente riforma Gasparri nel senso di un
maggiore equilibrio del sistema radiotelevisivo. L’obiettivo del Ddl,
proclamato dal ministro stesso, era quello di scardinare la spartizione del
mercato tra Rai-Mediaset per aprire finalmente alla concorrenza: ma sul
presupposto stesso di questa azione, 
ovvero l’esistenza di un irriducibile duopolio, era lecito nutrire più
di un dubbio, data l’evoluzione “plurale” del panorama televisivo data dalle
nuove tecnologie e dalla moltiplicazione dei soggetti e dei canali di offerta.

Ora, una notizia delle ultime ore conferma
che i poli del sistema sono almeno tre: secondo uno studio del quotidiano
“Italia oggi”, infatti, il fatturato 2007 di Sky ha pressoché raggiunto quello
dei due concorrenti generalisti. Se la RAI nell’anno passato, ha racimolato
2,96 miliardi di euro, di cui il 52% derivato dal canone e il restante 48%
dalla raccolta pubblicitaria, e Mediaset ha incrementato del 3,7% i risultati ottenuti
con la pubblicità (che cuba l’85% dei suoi ricavi), arrivando a totalizzare 2,83
miliardi di euro, la TV satellitare del gruppo News Corp arriva a sfiorare
entrambi con 2,50 miliardi di euro di ricavi, dei quali l’86% derivanti dagli abbonamenti
della pay-TV e solo il 14% dalle inserzioni pubblicitarie – in maniera del
tutto speculare rispetto alle TV berlusconiane.

Un dato che sembra confermare la posizione
assunta da Mediaset, tanto nelle parole di Piersilvio Berlusconi che in quelle
di Fedele Confalonieri; quest’ultimo, da sempre sostenitore della sensata tesi
che la forza dei competitor sul mercato televisivo non si misuri dal numero
degli spettatori, ma dai ricavi che essi generano – non solo, evidentemente,
attraverso la raccolta pubblicitaria, ma anche attraverso le entrate dirette
rappresentate dal canone e dagli abbonamenti. Il quadro dipinto da Gentiloni,
di fatto, avrebbe obliterato completamente questo elemento, mirando alla
regolamentazione dei soli ricavi pubblicitari, individuati aprioristicamente come
il mezzo principale di sostentamento per le TV. Per Mediaset, questa politica
di limitazione – che nelle intenzioni dichiarate dal ministro sarebbe servita a
riequilibrare la spesa degli inserzionisti (oggi diretta in misura preponderante
alle emittenti televisive) redirezionandola verso la stampa e gli altri mezzi
di comunicazione – in realtà sarebbe stata mirata unicamente a deprimere il
fatturato del primo network privato italiano. Al confronto, secondo
Confalonieri, più lungimirante sarebbe stata la vecchia legge Maccanico, che
nel fissare il tetto massimo di quota di mercato detenuto da ciascuno degli
operatori considerava tanto la pubblicità, quanto il canone e gli abbonamenti.

Nonostante le piccate risposte all’epoca dirette
dagli esponenti del centrosinistra al dirigente Mediaset, sarebbe bastato un
semplice ragionamento a mostrare con evidenza come l’intento punitivo nei
confronti di Berlusconi fosse più di un semplice sospetto: se vi sono tre
attori in gioco, due dei quali possono contare su altre forme di entrate
rispetto alla pubblicità mentre il terzo si affida in via prioritaria a
quest’ultima, limitare solo la pubblicità senza toccare le altre forme di
introiti ha un significato ben preciso. Oggi sappiamo che la motivazione
addotta per questa scelta, quella di consentire l’ingresso di altri player nel
mercato – già ben presenti e attivi -, era quanto meno parziale; più
esattamente Gentiloni avrebbe dovuto dire che mentre  si consentiva l’ingresso ad alcuni, di altri
si cercava – con le buone o con le cattive – di agevolare l’uscita. Ma prima
che questo potesse accadere, per fortuna, ad uscire è stato qualcun altro.