La rimonta possibile di Trump passa per l’Fbi
02 Novembre 2016
La partita e’ ancora aperta. A una settimana dal voto, “possiamo ancora aspettarci qualsiasi cosa: la differenza di punti fra Hillary Clinton e Donald Trump negli swing state e’ minima”. Cosi’ Arianna Farinelli, docente di Scienze Politiche alla City University di New York, in un’intervista all‘ANSA. L’early voting sembra aver favorito Clinton, con 21 milioni di americani che hanno votato prima della nuova indagine dell’Fbi sull’emailgate dell’ex first lady. Va però detto che in quattro Stati dove si è potuto votare in anticipo (Wisconsin, Pennsylvania, Michigan e Minnesota), è possibile cambiare idea il giorno del voto. Questo è visto, per il momento, come una cosa improbabile, perché chi vota prima o è molto convinto oppure non può o non vuole votare l’8 Novembre. Non è però così impossibile, in caso ci fossero delle rivelazioni scottanti nei prossimi cinque giorni. In ogni caso Trump sta lanciando una serie di messaggi proprio in quella direzione, facendone un target prioritario nell’ultima settimana.
Ma nulla e’ ancora deciso. “Bisognera’ vedere se le indagini riveleranno contenuti top secret. In ogni caso Trump era gia’ in rimonta prima dell’annuncio delle indagini”, spiega Farinelli, osservando come il tycoon rimanga in vantaggio in Ohio, un importante stato in bilico in cui Trump raccoglie il consenso degli americani bianchi appartenenti alla classe media e al ceto operaio. L’attenzione e’ quindi alta sull’Fbi e sul suo direttore James Comey. “L’Fbi si trova in una posizione difficile”, si tratta di una situazione senza precedenti. “Non c’era mai stata una così pesante interferenza nelle elezioni presidenziali a distanza cosi’ ravvicinata dal voto”. Farinelli ritiene comunque che “ci sia grande voglia di cambiamento, soprattutto tra coloro che hanno risentito degli effetti della globalizzazione e della crisi economica, e per i quali Clinton rappresenta lo status quo. L’effetto del video scandalo di Trump è durato poco. Agli americani interessano i temi concreti. E il messaggio di Trump continua ad avere un forte appeal, proponendo soluzioni concrete ai problemi legati alla globalizzazione e all’immigrazione, promettendo di difendere i posti di lavoro degli americani e la loro identità culturale”.
Trump, insomma, ha saputo capitalizzare sulle paure degli americani. Il populismo, che “è già un trend a livello globale, non e’ una novità nel panorama politico americano. Alla fine del 1800 i populisti americani sono riusciti a far approvare dal Congresso una legge contro gli immigrati cinesi accusati di sottrarre posti di lavoro agli americani bianchi. Nel 1920 lo hanno fatto contro i lavoratori giapponesi, accusandoli di essere spie dell’imperatore del Giappone”. “La globalizzazione dei beni di consumo, dei capitali e dei servizi ha creato vincitori e vinti. Ma la globalizzazione che fa piu’ paura all’Occidente e’ quella delle persone: 250 milioni di persone hanno lasciato il proprio paese lo scorso anno per trasferirsi all’estero”, aggiunge Farinelli. Guardando avanti, “chiunque vincerà la Casa Bianca si troverà ad affrontare la prossima crisi economica, i cui segnali sono già visibili nel rallentamento degli scambi commerciali mondiali. La probabilità di una rielezione nel 2020 sarà quindi direttamente proporzionale alla capacita’ del nuovo presidente di gestire la crisi che verrà ”, mette in evidenza la politologa, ritenendo che l’età dei due candidati non e’ un problema per un’eventuale presidenza di otto anni: “Entrambi hanno mostrato grande stamina nel corso della campagna elettorale”. Altro nodo della presidenza sarà la politica estera. “Hillary ha dimostrato di essere più ‘falco’ di Obama ed in Siria come in altri fronti caldi potrebbe essere più interventista. Trump invece ha ribadito che metterà l’ ‘America First‘, ovvero che gli Stati Uniti non si faranno coinvolgere in conflitti che riguardano altri paesi, inclusi gli alleati della Nato”