La rinascita è a portata di mano, ma occorre un nuovo inizio
08 Ottobre 2012
Nessuno appare disposto a recuperarlo perché non saprebbe che cosa farne. E’ questo il limite dei cosiddetti «partiti personali» così in voga negli ultimi vent’anni: speriamo che la lezione serva a tutti. Intanto l’apprendono loro malgrado milioni di elettori che si erano riconosciuti nell’avventura berlusconiana abbandonando le rispettive casematte in ossequio ad una modernità della politica che non prevedeva più partiti ideologici, ma soltanto soggetti pragmatici al punto di mettersi nelle mani di un uomo solo e seguirne gli estri, le intuizioni e, dunque, anche le rovinose cadute.
Adesso che rimangono soltanto queste, dalle macerie fumanti il leader che dovrebbe assumersi almeno una parte delle responsabilità di quanto è accaduto (e non mi riferisco soltanto agli scandali) scarica la sua «creatura» e pensa di partorirne un’altra, gremita (si fa per dire) dei tifosi più accesi, dei duri e puri insomma, da mandare in Parlamento non a difendere un’idea (di queste cose dalle parti dei berlusconiani non si parla mai), ma se stesso che ambisce ad avere comunque un ruolo al tavolo post-elettorale soprattutto se si dovesse concretizzare la prospettiva di un Monti bis.
E gli altri? Che si arrangino. Che si ritrovino in una federazione. I post-missini di An tra di loro, i «civici» con i consimili, e le frattaglie varie che si combinino in un soggetto eterogeneo più per disturbare il neo-centristi che per ottenere seggi. Lui, Berlusconi, s’incaricherà, come sempre, di «amalgamare» (che non è una variante del «fusionismo», grande e nobile costruzione politica che il Pdl, forse per ignoranza, non ha mai preso in seria considerazione) il tutto attorno al nuovo soggetto a cui darà vita. Almeno questo è quanto emerge dalle indiscrezioni che trapelano dall’inner circle del Cavaliere. L’ipotesi è tutt’altro che peregrina. Ma ci si chiede se il «nuovo» centrodestra così concepito possa avere un’esistenza men che effimera se, quantomeno chi lo concepisce e prova ad organizzarlo in tal modo, si sottrae ad una severa autocritica, ad un esame perfino doloroso dei moltissimi errori personali e di nomenklatura compiuti in questi ultimi quattro anni che hanno determinato lo sfascio di quella che sembrava un’invincibile armata tale da cambiare i connotati istituzionali della Repubblica e procedere ad un rinnovamento della vita pubblica, come auspicato fin dal fatidico 1994.
Tanto per dire: non è possibile che le «candidature impossibili» siano divenute possibili magicamente, che una lista sia scomparsa al momento della presentazione, che un Fiorito sia stato nominato da fantasmi capogruppo e presidente della Commissione Bilancio, che la signorina Minetti sia calata nel listino bloccato del Governatore senza nessun intervento dall’alto (e della quale si chiedono le dimissioni con la stessa leggerezza con la quale si cacciava dal partito coloro che ne contestavano l’elezione), che si sia delegittimato un giovane segretario che con ammirevole buona volontà si era messo a ricercare accordi con altri soggetti per ricreare un «fronte» anti-sinistra organico, credibile e vincente.
Possibile, insomma, che tutto questo e ben altro ancora, sia accaduto ed il capo ne sia stato all’oscuro? Berlusconi avrebbe il dovere di rendere edotto il partito delle modalità in cui la catastrofe perfetta si è realizzata e quali sono le sue reali intenzioni, senza tergiversare ulteriormente, scrollandosi di dosso quel politicismo, anticamera del «teatrino della politica», che a parole ha sempre censurato. Insomma, dirigenti, parlamentari, militanti, simpatizzanti ed elettori non ne possono più della manfrina che va avanti da mesi tra ipotesi di scomposizione e di ricomposizione del centrodestra puntualmente seguite da smentite e ricostruzioni contraddittorie.
Berlusconi vuole azzerare il Pdl, peraltro in articulo mortis? E sia. Ma lo dica apertamente, in faccia alla vasta platea che lo ha seguito e sostenuto sempre e comunque ritenendo perfino le sue personalissime debolezze robetta che si poteva perdonare pur di tutelare la compattezza di un soggetto che avrebbe dovuto comunque portare a compimento il progetto politico che si era dato. Se le diverse componenti di un Pdl paradossalmente privo di anima fin dalla nascita dovessero scoprire di non avere più niente in comune oltre i risentimenti e i sospetti, che si separino per dar vita a nuove formazioni il cui cammino sarà comunque periglioso e accidentato.
Se, al contrario, si può davvero promuovere una federazione organica che attiri nella sua orbita anche i neo-centristi, con un Berlusconi defilato (anche questa è una ipotesi da lui stesso fatta circolare) per agevolare l’operazione, non si perda più tempo e si rimetta nelle mani di Alfano, possibilmente coadiuvato da un gruppo dirigente «pensante», il destino del centrodestra che potrebbe essere ricostruito soltanto con le idee, l’elaborazione di una cultura di governo improntata ad una visione strategica, la passione di gente che la politica la concepisce come impegno costante e disinteressato ed è stata umiliata vedendo promuovere al rango di improbabili statisti elementi cooptati da una corte da basso impero. Non è detto che dopo Waterloo, evocato ieri da Giuliano Cazzola, debba calare una notte senza fine. Per quanto la stella di Austerlitz si sia offuscata, la rinascita è alla portata a condizione che si abbia ben chiaro il progetto di un «nuovo inizio» e che le identità frammentate ritrovino lo spirito per confrontarsi al fine di creare una nuova identità, come ci si aspettava da un movimento di rinnovamento nazionale.
Tratto da Il Tempo