La ripresa c’è e siamo al Governo per rafforzarla
05 Giugno 2015
Una sintesi degli ultimi dati economici dimostra che l’Italia sta imboccando la strada di una ripresa ancora piccola ma che tutti aspettavano. I dati Istat sull’aumento dell’occupazione nel primo trimestre del 2015, +133mila unità, con il segno meno nella disoccupazione al Sud e tra le donne. Le previsioni al rialzo del Pil fatte dall’Ocse (+0,6% nel 2015, +1,5% nel 2016), l’organismo internazionale che ha detto chiaramente “Italia fuori dalla recessione”. Il trend drammatico delle aziende che chiudevano quotidianamente si è fermato, mentre il settore manifatturiero continua a rappresentare un asset della nostra economia, della qualità e dell’innovazione italiana, non solo tecnologica. Le grandi aziende come FCA e Alitalia riprendono ad assumere. Il Centro Studi di Confindustria che davanti al quadro appena esposto parla di “fattori positivi”.
Eppure ci sono giornali, gruppi di pressione e forze politiche che continuano a guardare solo al bicchiere mezzo pieno, ripetendo come un mantra pretestuoso “troppo poco, l’Italia sta facendo troppo poco”. Per esempio la storia dei nuovi contratti che, dicono, nuovi non sarebbero in quanto vecchie collaborazioni trasformate in nuova occupazione. Beh, prima di tutto ricordiamo che si tratta di contratti a tempo indeterminato e in secondo luogo che complessivamente il numero delle ore lavorate aumenta, come ha detto il ministro Poletti. Non si tratta di fare un bagno nell’ottimismo o di prendersela con il gufo di turno, basta essere realisti. Sappiamo che c’è ancora molta strada da fare, che l’Italia è stata l’ultima delle grandi democrazie occidentali a uscire dall’incubo e che ci sono Paesi come la Spagna che hanno previsioni di crescita più alte della nostra. Ma oggi si può dire che ci siamo schiodati dal punto morto in cui eravamo caduti e questo è un fatto innegabile, soprattutto se alla fine dell’estate i trend elencati saranno confermati.
Il combinato disposto delle riforme economiche e costituzionali che ormai qualche anno fa il presidente Napolitano indicò come la strada irrinunciabile per modernizzare il Paese sta funzionando. Questa legislatura fa cose che bisognava fare ormai da moltissimo tempo, non solo perché ce le chiedeva l’Europa o perché, com’è accaduto, la Germania guarda al proprio interesse nazionale; no, bisogna farle se anche noi teniamo al nostro futuro. Dobbiamo prendere atto che il mondo si è rivoluzionato, che tutto, a cominciare dal lavoro, si sta trasformando velocemente e profondamente, e una vera classe dirigente ha il compito di abituare e condurre l’Italia attraverso questi cambiamenti epocali.
Il Governo Renzi, grazie alla presenza delle forze moderate e liberali che sostengono la maggioranza, ha saputo intraprendere una strada alternativa al rigore fino a se stesso, un percorso che va nella direzione di un benvenuto equilibrio tra il rispetto dei vincoli di bilancio e la crescita. Obiettivo finale resta un modello di economia flessibile dove si assume quando l’economia tira e si ristruttura con le doverose cautele quando gli investimenti, gli ordinativi e i consumi frenano. Un modello più adatto alla globalizzazione, dove il welfare venga ripensato difendendo con i denti l’eccezione italiana come la sanità pubblica per i cittadini.
Gli sgravi contributivi per chi assume nella Legge di Stabilità, il Jobs Act, il nuovo contratto a tutele crescenti, il superamento dell’articolo 18, sono tutte misure che abbiamo preso e sostenuto perché sono nel Dna del centrodestra.