La risposta di Bush alla crisi dei mutui subprime

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La risposta di Bush alla crisi dei mutui subprime

06 Dicembre 2007

Il presidente Bush ha annunciato l’accordo con i principali istituti erogatori di mutui immobiliari per il congelamento dei tassi di interesse per cinque anni per i proprietari in difficoltà.

Beneficeranno del programma i titolari di immobili che abbiano stipulato contratti subprime a tasso variabile tra il 1 gennaio 2005 e il 31 luglio di quest’anno e che prima del 31 luglio del 2010 si troverebbero a dovere fronteggiare un forte aumento delle rate dovute.

Il programma, riservato ai proprietari in grado di accollarsi l’onere del rimborso del mutuo alle nuove condizioni, dovrebbe inoltre consentire il rifinanziamento dei mutui attraverso il sistema bancario o tramite agenzie statali o locali.

Nato da una proposta del Segretario al Tesoro americano Henry Paulson, il piano è ritenuto un compromesso accettabile tra le posizioni più radicali di quanti avrebbero voluto imporre un congelamento di sette anni e le richieste iniziali del sistema bancario e finanziario, che avrebbe voluto limitarlo a uno o due anni al massimo.

Non mancano tuttavia le critiche di quanti ritengono che il provvedimento premi i proprietari meno responsabili, che si erano accollati mutui ad alta rischiosità.

Si teme altresì che la pressione del governo sull’industria dei mutui possa dare un segnale negativo agli investitori esteri. L’opposizione democratica, dal canto suo, ha criticato il programma perché debole e poco incisivo.

Hillary Clinton ha recentemente domandato una sospensione di 90 giorni delle procedure esecutive ai danni dei proprietari inadempienti nel pagamento delle rate di mutuo, e il congelamento di cinque anni su tutti i contratti subprime. I provvedimenti seguono un lungo dibattito sui possibili rimedi per evitare che la crisi del settore si espanda al resto dell’economia. Il banchiere Alex J. Pollock, membro dell’American Enterprise Institute ha dichiarato al Washington Post che le perdite dovute alla crisi sono già state molto onerose e che un aggiustamento è comunque necessario. I benefici del nuovo piano dipenderanno secondo Pollock dai suoi dettagli.

La risposta rapida dell’Amministrazione Bush alla crisi dei subprime denota una significativa attenzione delle autorità americane all’obiettivo dell’espansione dell’economia reale.

I dati della crescita del PIL nel terzo trimestre, pubblicati lo scorso giovedì, segnalano l’accelerazione congiunturale più forte (4,9 per cento) dall’inizio dell’attuale fase espansiva nel 2003, un effetto largamente dovuto, secondo recenti analisi, agli effetti positivi della debolezza del dollaro sulle esportazioni americane, che avvantaggerebbero gli Stati Uniti sui mercati dove essi competono con l’Europa.

Una medesima prontezza è stata avocata per la politica monetaria dal vice-presidente della Fed Donald Kohl, che in un discorso al Council on Foreign Relations, una settimana fa, ha richiamato le incertezze del quadro previsivo, sottolineando che il mercato immobiliare non avrebbe ancora toccato il fondo. Secondo Kohl, tali incertezze richiedono politiche “flessibili e pragmatiche”, una dichiarazione che è sembrata andare in direzione dell’attesa riduzione dei tassi da parte del Board della Fed martedì prossimo.

Nei giorni scorsi il presidente della Fed Ben Bernanke aveva prudentemente ribadito che qualsiasi decisione del Board dipenderà dalle informazioni sullo stato dell’economia che si materializzeranno prima della riunione, consentendo di valutare il quadro previsivo e la bilancia dei rischi.

Questa, va ricordato, include anche le prospettive di inflazione, che potrebbero risentire dei costi crescenti del petrolio e dei prodotti alimentari, militando contro la riduzione, ma anche i consumi e l’attività edilizia, che secondo dati diffusi lo scorso venerdì dal Department of Commerci hanno fatto registrare i valori più bassi rispettivamente da giugno e da luglio scorsi.