La riunificazione tra le due Coree rimane una chimera nonostante tutto

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La riunificazione tra le due Coree rimane una chimera nonostante tutto

31 Dicembre 2011

A seguito della recente morte del dittatore Kim Jong Il, alcuni mass media hanno paventato l’ipotesi di un rapido disgelo nei rapporti tra la Corea del Nord ed il resto della comunità internazionale. C’é stato chi, senza conoscere né la storia né la situazione attuale della Corea del Nord, ha paragonato il nuovo dittatore Kim Jong-Un a Raul Castro, o perfino a Deng Xiaoping.

La verità è che in Nord Corea esiste dal 1948 il più impenetrabile e terribile stato-prigione marxista mai realizzato, che si regge su un lavaggio del cervello martellante, una repressione violentissima, ed un sistema di campi di concentramento spaventoso. Questi fatti non sono destinati a cambiare nel breve periodo, nemmeno con le turbolenze interne che probabilmente segneranno l’ascesa di Kim Jong-Un.

Altri mass media si sono lanciati nel sensazionalismo opposto, prevedendo un immediato collasso del regime comunista. Eppure chiunque sia minimamente informato dovrebbe sapere che Pechino lavora da sempre per evitare un evento del genere. Il collasso, se mai avverrà, non sarà questione di settimane, né di mesi. Infatti il giovane erede Kim Jong-Un sta rapidamente prendendo controllo della martellante macchina di propaganda nazionale.

Fin dall’annuncio della morte di suo padre, l’agenzia Korean Central News, organo televisivo e radiofonico ufficiale di Pyongyang, nomina Kim Jong-Un continuamente, invitando la popolazione a stringersi attorno al nuovo leader della rivoluzione. Sicuramente Kim Jong-Un sta tenendo a bada i militari e afferrando saldamente le redini del regime comunista anche grazie all’aiuto dei fedelissimi di suo padre, tra cui lo zio Jang Song-thaek ed il generale Ri Yong-ho. Non a caso, mercoledì Kim Jong-Un guidava la cerimonia funebre che ha attraversato le vie innevate di Pyongyang tra i pianti di migliaglia di persone.

A Seoul intanto il presidente conservatore Lee Myung-bak ha giustamente deciso di non esprimere condoglianze ufficiali per la morte di Kim Jong Il, ma allo stesso tempo ha permesso a tutti i messaggi privati di essere recapitati a Pyongyang. Inoltre, Lee ha concesso a due delegazioni familiari, quella dei defunti  Kim Dae-jung e Chung Mong-hun (rispettivamente ex presidente della Corea del Sud ed ex presidente del gruppo Hyundai) di recarsi nella capitale nordcoreana per le funzioni funebri.

Sia Kim Dae-jung sia Chung Mong-hun, nei rispettivi e diversi ruoli da loro ricoperti, avevano tentato una effimera (e nel caso di Dae-jung perfino corrotta) collaborazione col regime comunista. Infine, il presidente Lee Myung-bak ha vietato l’accensione di alberi di Natale lungo il confine in segno di rispetto, ha deciso di non alzare il livello di guardia dell’esercito sudcoreano, e ha convocato i rappresentanti dei maggiori partiti politici di Seoul per concordare una linea comune.

Insomma, da un lato Lee non ha voluto dimenticare che Kim Jong Il é stato un dittatore sanguinario ed un nemico della Corea del Sud, ma dall’altro ha anche mostrato il suo rispetto per il lutto e la sua disponibilità ad eventuali aperture diplomatiche. Questa linea chiara, accorta e pragmatica allo stesso tempo ha caratterizzato tutta la politica estera di Lee Myung-bak, che però il prossimo anno dovrà lasciare la presidenza, giacché la costituzione sudcoreana non prevede la possibilità di un nuovo mandato.

Ma mentre a Pyongyang la popolazione osserva inerme come sempre la delicata ascesa al potere di Kim Jong-Un, il cui regime non formulerà grossi cambiamenti nella politica estera a breve, é invece a Seoul che la morte di Kim Jong Il sta causando fermenti politici. Sembra incredibile, ma nel mezzo di una delle tigri asiatiche, mentre godono delle libertà di una democrazia di stampo occidentale, esistono fanatici ammiratori della Corea del Nord.

Tra questi, alcuni sono addirittura organizati in gruppi ufficiali, come il Korea Solidarity, che ha manifestato nel corso della settimana per protestare contro la decisione di non inviare condoglianze ufficiali ed ha addirittura annunciato di voler costruire un altare in memoria dell’ “amato leader” Kim Jong Il nel centro di Seoul. Ovviamente, la reazione dei gruppi di destra non si é fatta attendere, con minacce di distruggere qualsiasi traccia dell’eventuale altare.

Anche presso la prestigiosa Seoul National University, alcuni studenti di sinistra hanno espresso l’intenzione di commemorare Kim Jong Il con un altare, ma la maggioranza degli altri iscritti si sono ribellati, ricordando come nella tradizione coreana gli altari funebri siano riservati ad eroi nazionali e figure che hanno lavorato per la pace, mentre Kim Jong Il si é reso responsabile di numerosi attacchi costati la vita a cittadini sudcoreani, per non parlare del suo programma di armamento nucleare o della sua terrificante repressione di dissenso interno.

Quindi, mentre il regime comunista del Nord si avvia ad una fase di riassestamento interno che probabilmente non porterà a nessuna apertura democratica né ad alcuna fase di disgelo diplomatico, é paradossalmente il Sud a trovarsi lacerato dalle profonde divisioni ideologiche interne. I sudcoreani studiano fin dalla tenera età il concetto di “riunificazione”, e l’estrema sinistra coreana sfrutta continuamente i sentimenti patriottici e fraterni dei sudcoreani per far dimenticare loro l’aggressione orchestrata dal Nord (e da Stalin) nel 1950, i continui attacchi e le minacce del regime comunista, ed i crimimi commessi dalla famiglia Kim.

A ciò si aggiungono poi i distratti mass media internazionali, che nulla sanno e nulla capiscono della penisola coreana, ma periodicamente alternano la previsione di rosee riforme democratiche nel Nord all’ebete sorpresa quando Pyongyang sferra vigliacchi attacchi militari contro il Sud (come l’affondamento della nave Cheonan lo scorso anno). Purtroppo, le riforme nello stato-prigione nordcoreano non arriveranno mai, perché il regime comunista sa di reggersi su un muro di bugie e violenza che crollerebbe interamente appena tolto il primo mattoncino.

La Corea del Sud resta disponibile al dialogo, ma non può né abbassare la guardia, né dimenticare che a nord del 38esimo parallelo c’é il parco degli orrori del socialismo reale. Ha dunque fatto bene il governo di Seoul a comprare lunedì scorso due aerei di ricognizione militare francesi: Lee Myung-bak sa che il tirannico regime dei Kim continuerà a lungo le sue provocazioni ed il suo programma nucleare.