La Rivoluzione conservatrice può ricominciare da David Cameron

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La Rivoluzione conservatrice può ricominciare da David Cameron

06 Maggio 2010

 La mappa delle politiche inglesi del 2010 aggiornata dal Telegraph dà in vantaggio i Conservatori sui Laburisti nello scrutinio elettorale, quando mancano circa una cinquantina di seggi da scrutinare. Per tutta la notte, gli exit poll hanno dato Cameron vincente anche se i Tory non hanno i numeri per governare. Il Labour paga giro, ma non pesantemente come speravano i conservatori. Il partito Liberal Democratico, invece, il grande atteso del voto di ieri, si è arenato (La "Cleggmania" probabilmente sfumerà nel bizantinismo delle alleanze). Il Parlamento inglese è rimasto "appeso" (la Regina Elisabetta ha comunicato che attenderà il pomeriggio di oggi per incontrare il vincitore, venendo meno alla tradizionale visita mattutina), e il controverso meccanismo del rapporto tra i voti e i seggi alla fine potrebbe generare un ‘mostro’ politico, un esecutivo di minoranza, con i laburisti ripescati per traghettare il Paese verso un futuro politico amorfo. 

Ma al di là di tutto questo potrebbe essere un bel giorno per il movimento conservatore occidentale. Dopo l’ascesa fulminante di Obama negli Usa, la bruciante sconfitta di Sarkozy in Francia, lo smottamento della destra liberale a favore di quella populista e ‘xenofoba’ in altri Paesi europei, i conservatori ripartono lì da dove tutto era iniziato, negli anni Settanta, con la vittoria di Margaret Thatcher. Da allora la Rivoluzione democratica e conservatrice ha cambiato il mondo, Reagan in America, Soares e Suarez in Spagna e in Portogallo, Havel e Walesa nei Paesi dell’Europa Orientale, i leader riformatori nei Paesi dell’America Latina, Mandela in Sudafrica… fino alla coraggiosa ma controversa presidenza Bush; un ciclo iniziato oltre 30 anni fa sembrava esaurirsi, e ovunque, dall’America all’Europa, le politiche socialiste e stataliste, dal bailout obamiano agli aiuti alla Grecia, riprendevano il posto del liberismo economico, con l’intento di regolare il mercato ed esercitare un maggiore controllo sugli individui, confondendo burocrazia con democrazia. 

"Non siamo più negli anni Settanta," ripete spesso Cameron, che si è spinto (molto) oltre il thatcherismo, anche se ne condivide ancora i valori fondativi. Parla di "giustizia sociale" (lui che viene dalla upper middle class), vuol combattere il global warming ("The planet first, politics second"), ed è cosciente del fatto che in un contesto economico come quello che stiamo vivendo non sarà facile abbassare le tasse anche se dice di volerlo fare. E’ obamiano nel senso più profondo del termine: per governare devi conquistare l’elettorato moderato, l’architrave di tredici anni di ininterrotto governo laburista. Ma se ripensiamo all’ultimo confronto elettorale in tv, la settimana scorsa, Cameron sa anche rassicurare il suo elettorato tradizionale: ha promesso di muoversi verso una privatizzazione del sistema sanitario nazionale, ed è un uomo, un marito, un padre, che ha difeso in più occasioni il valore della famiglia (almeno quanto il suo diritto alla privacy).

Quella di Cameron è una versione "liberal" (all’inglese, non all’americana), centrista, della Rivoluzione Conservatrice, l’unica che risulta vincente in un periodo pieno di interrogativi come questo. La promessa di eliminare la tassa di successione o quella sulla sanità pubblica gli ha dato più appeal del suo avversario socialista. "L’efficienza economica è uno dei terreni comuni della politica inglese," ha detto durante la campagna elettorale, "dobbiamo trovare il modo di avere successo là dove i laburisti hanno fallito". Una politica fiscale conservatrice, "rivoluzionaria", potrebbe essere uno di questi modi. Ma prima bisognerà capire come andranno effettivamente a finire queste elezioni.