La rivoluzione del senso comune: Trump fa un discorso da uomo di stato
29 Gennaio 2025
“Una ricetta economica disastrosa… Il MAGA farà schiantare l’America… Trump bullizza gli alleati… Trump distruggerà il commercio globale… Trump inaugura una nuova era di scontro geopolitico… Trump ci riporta in un medioevo culturale… Trump ci trascina indietro all’era del petrolio… Trump distruggerà il pianeta…”. Così i principali quotidiani e magazine economici occidentali hanno commentato il discorso inaugurale del 47esimo presidente degli Stati Uniti.
Lasciatemi dire: non hanno capito nulla! Continuano a non voler comprendere il fenomeno Trump, ignorando le vere ragioni del suo successo, popolare e politico. Certamente, quello del tycoon non è un programma economico coerente, nemmeno una raffinata chiosa istituzionale, ma è, nel senso più profondo del termine, un discorso da uomo di Stato.
Sgombriamo il campo da equivoci: moltissimi elementi della sua ricetta sono incoerenti, sbagliati e persino irrealizzabili. Basti pensare al negazionismo sul green o alla politica dei dazi. Tuttavia, questo discorso esprime una cifra politica di una forza irresistibile: rimette lo Stato nazionale americano al centro di un progetto politico.
E’ proprio dalla crisi dello Stato Nazionale che prende forza il fenomeno Trump. La globalizzazione ha scardinato, una per una, tutte le istituzioni sociali su cui si reggeva la Nazione moderna. La famiglia, nuclearizzata; la religione, secolarizzata; la manifattura, esternalizzata; il genere, fluidificato; le classi sociali, polarizzate; l’opinione pubblica, socialnetworkizzata.
Come ci racconta Emmanuel Todd in La sconfitta dell’Occidente, “la Nazione è un popolo reso cosciente da un credo collettivo e un’élite che lo governa in base a tali convinzioni”. E questo oggi non esiste più. La nazione sopravvive in uno “stato inerte” nel quale vengono spazzati via “il sentimento nazionale, l’etica del lavoro, il concetto di una morale sociale vincolante, la capacità di sacrificarsi per la comunità”.
La società di oggi è “informe, né nazionale né di classe, dominata da un élite ideologica che scorge nelle questioni etniche e razziali le ragioni per dividersi in laburisti woke e conservatori anti-woke”. Queste élite hanno smarrito la forza storica della tradizione, non sono più in grado di dare certezze sul presente, né di incarnare un destino comune.
Su questo smarrimento si fonda la “revolution of the common sense” del presidente Trump, che in primo luogo rimette al centro l’unicità della tradizione americana: “Lo spirito della frontiera è scritto nei nostri cuori: quando esploravamo l’Ovest e ponevamo fine alla schiavitù, quando abbiamo salvato milioni di persone dalla tirannia, sollevato milioni dalla povertà, costruito l’elettricità, diviso l’atomo e messo la conoscenza del mondo nelle mani dell’uomo”…” ed oggi agiremo con “..il vigore e la vitalità della civiltà più grande della Storia”.
In secondo luogo, ristabilisce le certezze sul presente. Panama e la Groenlandia sono le cortine geografiche, le fabbriche e l’energia le cortine economiche, l’uomo e la donna le cortine genetiche e la pace e la guerra le cortine morali. In ultimo, recupera la morale calvinistica del popolo eletto che “se lavora insieme, può fare qualsiasi cosa”…perché… “in America l’impossibile è ciò che facciamo meglio”. E l’impossibile ha un nome: Marte.
Credo che la Presidenza Trump rappresenti un’enorme opportunità per l’America e per l’Occidente. Se le forze politiche d’opposizione sapranno comprendere la forza politica del movimento MAGA, sapranno anche combatterla, con valori, progetti di un’idea di Occidente tollerante, produttivo e democratico, che oggi abbiamo smarrito. E tra quattro anni a vincere sarà un altro candidato, e con esso trionferà la democrazia occidentale.