La rottamazione è un palliativo, contro la crisi servono interventi strutturali

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La rottamazione è un palliativo, contro la crisi servono interventi strutturali

28 Gennaio 2009

Oggi i rappresentanti dell’industria dell’auto incontrano il governo per decidere le misure di sostegno al settore, sulla scia di quanto sta avvenendo negli altri paesi europei. Allo studio c’è un nuovo programma di incentivi alla rottamazione e sostituzione delle vecchie autovetture per stimolare i consumi che negli ultimi mesi sono crollati a causa della crisi economica. L’incontro odierno è stato preceduto ieri sera da un vertice a Palazzo Chigi tra l’Esecutivo e i vertici della Fiat. Lunedì l’amministratore delegato del Lingotto, Sergio Marchionne, ha confermato le stime allarmanti dei sindacati: senza interventi pubblici sono a rischio 60 mila posti di lavoro. Un impatto devastante in un comparto che produce l’11,4% del Pil nazionale, un gettito fiscale di 81 miliardi di euro ed è composto da 2.500 aziende che occupano 400 mila addetti, come ha ricordato ieri il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola. È evidente, perciò, che sostenere il settore auto significa sostenere una bella fetta dell’industria italiana.

Intervenire in questo momento è necessario, ma bisogna avere la consapevolezza che la rottamazione, intesa come un mero programma di incentivi al rinnovo del parco circolante, rappresenta solo un palliativo contro gli effetti dolorosi della crisi in atto. Niente più. Perché i benefici sull’economia saranno di breve termine mentre le conseguenze sull’ambiente sono piuttosto incerte, come dimostrano alcuni studi effettuati in Europa e negli Stati Uniti. I provvedimenti di rinnovo del parco circolante hanno dunque una valenza industriale momentanea e circoscritta. E anche stavolta, come già successo in passato, la rottamazione servirà solo a fare fronte all’emergenza. Ma per curare la crisi che stiamo vivendo servono interventi strutturali che riguardino l’intero sistema produttivo del Paese (mercato del lavoro, fiscalità, investimenti e ricerca). Non è un caso che Barack Obama negli Stati Uniti abbia subordinato allo sviluppo di nuove tecnologie pulite da parte dei produttori gli interventi a sostegno dell’auto. Come dire: il governo va in aiuto del sistema imprenditoriale che in cambio, però, deve garantire investimenti in ricerca che possano tradursi in maggiore produttività e nuovi posti di lavoro.

Le prime rottamazioni. Sono passati dodici anni dal primo provvedimento di rottamazione varato in Italia dal governo Prodi nel 1997, l’anno in cui veniva siglato a livello internazionale il famoso protocollo di Kyoto per ridurre le emissioni globali di gas serra, in particolare l’anidride carbonica. Negli anni successivi sono stati più volte introdotti incentivi di questo tipo (gli ultimi sono scaduti a fine dicembre). Prima di noi, molti altri paesi hanno varato politiche di incentivazione alla rottamazione delle autovetture, preoccupati per i danni causati dall’inquinamento. Gli Stati Uniti hanno fatto da pionieri: già a partire dal 1990 una piccola impresa americana, la Unocal, iniziò a concedere degli sconti particolari ai consumatori che le consegnavano un autoveicolo più vecchio di 15 anni comprandone uno più recente in sostituzione.

L’interesse per questo tipo di strumento di politica economica e ambientale non tardò ad arrivare anche in Europa. Diversamente da quanto fatto negli Usa, dove la rottamazione fu introdotta con relativa prudenza in molti Stati, preceduta da studi di valutazione ex ante sui risultati conseguibili e dapprima sperimentata con progetti pilota, nei Paesi europei questo strumento fu applicato con grandissima rapidità e su vasta scala. La Grecia per prima lo introdusse nella regione di Atene, nel 1991, con gli scopi principali di ringiovanire un parco macchine più anziano della media europea e di accelerare l’introduzione di autovetture munite di marmitta catalitica. Francia e Spagna la seguirono negli anni ’94 e ’95, applicando gli incentivi su scala nazionale.

Gli effetti sull’industria dell’auto. Non c’è dubbio che la rottamazione aumenti le vendite mentre sono in corso gli incentivi. Alcuni soggetti reagiscono anticipando i loro acquisti per sfruttare i benefici del provvedimento. Ma l’effetto anticipazione abbassa le vendite di auto nel periodo successivo. La crescita di breve periodo della vendita di nuove vetture incrementa i profitti dell’industria dell’auto. Questo aumento potenziale, però, è ridotto da alcuni elementi: la generale diminuzione dei prezzi durante il periodo degli incentivi (dovuta alla concorrenza tra le case automobilistiche); lo slittamento degli acquisti verso modelli più piccoli  su cui sia l’industria dell’auto sia i concessionari hanno margini di profitto minori; e infine l’effetto anticipazione che fa diminuire i profitti nel medio termine (parte dell’incremento dei profitti è da intendersi non come un incremento reale ma come uno spostamento temporale). Anche in Italia, dopo la rottamazione del ’97,  si è verificato l’effetto anticipazione, moderato però dal fatto che negli anni precedenti all’introduzione degli incentivi si era accumulata una domanda potenziale molto elevata causata dalla bassa propensione agli acquisti indotta da una crescente fiscalità e da una situazione economica generale poco favorevole.

Gli effetti su Pil e occupazione.
Ci sono poi gli effetti sul sistema economico generale, anche in questo caso incerti. Nei paesi con una forte industria dell’auto, come l’Italia, la rottamazione ha effetti positivi sulla crescita del Pil e dell’occupazione, ma questo incremento rischia di essere, ancora una volta, solo temporaneo, cioè di breve termine e gli effetti di medio termine sono dubbi. In Italia lo 0,4% della crescita del Pil relativo al 1997 è stato attribuito all’incremento delle vendite delle auto. Tra il ’96 e il ’97 si è verificato l’incremento più netto delle immatricolazioni negli ultimi venti anni. Ma questo risultato non può essere attribuito interamente agli effetti degli incentivi alla rottamazione. Il mercato, stagnante per quattro anni consecutivi, stava già mostrando segni di ripresa alla fine del 1996. Dunque, una parte delle automobili sostituite durante il provvedimento di rottamazione sarebbe stata sostituita comunque, senza nessuna spesa da parte dello Stato. Per quanto riguarda l’occupazione, sia nell’industria dell’auto sia nell’indotto, in Italia la maggior parte delle nuove assunzioni durante gli incentivi è avvenuta con contratti a termine. Questo fa supporre che gran parte della mano d’opera assunta per far fronte ai ritmi produttivi più elevati e alla maggiore domanda, al termine dei provvedimenti di rottamazione rischia di trovarsi nuovamente disoccupata.

Gli effetti sui conti pubblici. Si afferma, poi, che la rottamazione incrementi le entrate nelle casse dello Stato (Iva, tasse di registrazione ecc.), visto che si suppone che le imposte sull’acquisto dei nuovi veicoli risulteranno maggiori del costo totale del provvedimento di incentivazione. Ma bisogna ricordare, innanzitutto, che alcune delle auto rottamate sarebbero sostituite in ogni caso, visto che si tratta di veicoli ormai vecchi: il costo del provvedimento per  queste vetture è una perdita netta per lo Stato. Inoltre, sempre considerando l’effetto anticipazione, più che un incremento delle entrate fiscali si ha uno spostamento nel tempo di tali entrate. Infine, gli incentivi hanno un effetto distorsivo sulle decisioni di acquisto dei consumatori: l’aumento della vendita di automobili va a ledere gli altri mercati, in particolare quelli di alcuni beni durevoli dalla vendita dei quali l’Erario consegue notevoli entrate. Lo Stato perderebbe gli introiti fiscali provenienti da questi mercati che risulterebbero svantaggiati.

Gli effetti sull’ambiente. Sui risultati ottenuti dalla rottamazione non c’è unanimità di consensi. Certamente questi provvedimenti, nei paesi che li hanno adottati, hanno conseguito una riduzione delle emissioni dei principali macroinquinanti (monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi, particolato) portando benefici all’ambiente e ancor più alla salute dei cittadini, in particolare per quanto riguarda gli abitanti dei centri urbani. Ma ci sono aspetti più controversi da sottolineare. La rottamazione, lo ripetiamo, non fa che anticipare, grazie all’incentivo economico, delle decisioni che i consumatori prenderebbero comunque, sia pure con qualche anno di distanza. Il vantaggio dato in termini ambientali ha dunque una durata limitata al breve periodo e tende a svanire nel medio-lungo termine, quando le stesse riduzioni di emissioni inquinanti sarebbero comunque conseguite dal naturale ricambio del parco macchine e senza  nessun esborso per le casse dello Stato.

Inoltre, se si analizzano i dati sul numero di chilometri annuali mediamente percorsi da un’autovettura durante il suo ciclo di vita, si nota che i veicoli più vecchi sono utilizzati molto meno di quelli che hanno pochi anni di vita. La minore affidabilità e il minor comfort dei modelli più datati, infatti, fa sì che essi siano in genere lasciati a un uso marginale, per spostamenti di più breve distanza. Incentivare la loro sostituzione con veicoli nuovi e maggiormente affidabili significa incentivare il trasporto su strada: dunque si hanno veicoli che emettono meno inquinanti per chilometro percorso, ma d’altra parte aumentano i chilometri complessivamente percorsi dal parco macchine di un Paese, riducendo in tal modo i possibili vantaggi ambientali.

La rottamazione del 1997, secondo alcuni calcoli effettuati dall’Enea, ha provocato in Italia una riduzione di molte sostanze inquinanti. Per quanto riguarda l’anidride carbonica (principale responsabile dell’effetto serra) si è verificato invece un vero e proprio fallimento provocato dalla combinazione degli elementi sopra descritti, ma anche da altri fattori più specifici: innanzitutto le auto con marmitta catalitica hanno consumi energetici (e quindi emissioni di anidride carbonica) superiori alle auto  non catalizzate. E poi non va dimenticato che si producono emissioni inquinanti non trascurabili anche nelle fasi di costruzione delle vetture e in quelle di demolizione e smaltimento (e/o riciclaggio) dei rifiuti da esse provenienti: accorciare la vita media delle auto (come è negli scopi di questi incentivi) potrebbe anche andare in senso opposto a ciò che viene richiesto da uno sviluppo sostenibile. Nonostante, dunque, gli incentivi alla rottamazione siano sempre stati presentati entusiasticamente pressoché ovunque, come strumento per ridurre l’impatto ambientale del trasporto su gomma, molti sono ancora i dubbi sulla loro reale efficacia.