La “rottura” berlusconiana all’insegna del populismo democratico

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La “rottura” berlusconiana all’insegna del populismo democratico

22 Novembre 2007

La fase politica che stiamo vivendo è caratterizzata da tratti ascrivibili ad una crisi storica e istituzionale. Quest’ultima sotto il segno, già percepito alla fine degli anni Ottanta del secolo appena alle nostre spalle, della crisi della rappresentanza. Crisi strutturale alla quale si sovrappongono elementi di scompaginamento sociale e una carenza di investimento complessivo su aree decisive quali l’educazione e la formazione (il mercato del lavoro risente anche di questa carenza gigantesca). Dunque, l’Italia è attraversata da una crisi storica che non può essere letta solamente con lenti politicistiche. Due sono, a mio avviso, le categorie da utilizzare, in un frangente come quello sommariamente descritto: il fattore umano e la rigenerazione della politica.

Il fattore umano è un elemento singolarmente assente nelle varie e spesso acute analisi politiche che affollano le pagine dei nostri quotidiani, eppure esso fa davvero la differenza. E la fa ancor più oggi in una società di singoli, cioè di individualità in cerca di una casa e di una causa. E’ il fattore umano che sta cambiando la Francia, nel profondo. E’ il fattore umano che sta riprendendosi i suoi spazi con la seconda discesa in campo di Berlusconi. Schematizzando rozzamente, potremmo definirla così. In un lasso di tempo tutto sommato non epocale, circa 14 anni, ma nella globalizzazione corrispondente ad un secolo secco, Berlusconi comprende che le certezze di ieri non sono più dottrine per l’oggi. Non corrispondono più alle attese della gente. Categoria, questa, inaugurata nelle alte sfere della cultura da Ortega y Gasset, e più pragmaticamente rideclinata allo scopo di invertire la marcia verso le nuove ideologie di oggi; la gente, dunque, si identifica con il popolo e quest’ultimo, osserva Berlusconi, è smarrito perché il governo Prodi sta producendo una crisi sociale di proporzioni impressionanti. L’analisi funziona e la mossa politica attinge carne e sangue da quest’analisi.

La virata sul bipolarismo non è altro che la realistica presa d’atto di una permanente crisi della rappresentanza di vaste aree della gente, cioè del popolo, a fronte di una crisi che sta impoverendo il popolo e deprivandolo di risposte e certezze per il domani. Sartori collega il bipolarismo alla bipolarità costitutiva della nostra Repubblica, con la realtà già studiata da Galli del “bipartitismo imperfetto”, concludendo che la strategia berlusconiana non sia acconcia al cambiamento del sistema politico, da sempre incapace di uscire dalle secche di dualità conflittuali e auto-sabotanti. Può darsi che nella politica di Berlusconi non vi sia tutto, d’altra parte, come afferma anche Sartori, le riforme elettorali non sono altro che strumenti, ma la politica si fa con la politica, cioè appunto rappresentando il popolo. Ma allora, con questo ragionamento, ritorniamo a Berlusconi ed alla sua mossa della ragione. Mossa della ragion politica: rappresentare il popolo restituitendogli sovranità. E, per far ciò, occorre, ecco la pietra dello scandalo, esercitare una certa sovranità sulla politica.

Le crisi varie e continue degli alleati derivano da questo punto. Il fattore umano, in questo contesto, spiazza, com’è stato a più riprese ribadito, sì, ma costruisce anche una strada, un metodo che non va preso sottogamba, ma perlomeno valutato per quel che realmente è. Con una comparazione forse ci intendiamo meglio: Sarkozy dispone di una chiara strategia di modernizzazione della Francia e, per affermarla, si deve scontrare con i sindacati in sciopero e con pezzi dei vertici istituzionali, assai più timorosi del Presidente sulla strada da percorrere. Ma Sarkò non mollerà e per due ordini di ragioni: a) ha il popolo dalla sua parte (ecco l’analogia con Berlusconi); b) segue coerentemente un progetto sulla base del quale ha chiesto il voto dei cittadini francesi, i quali, oggi, sondaggi alla mano, vogliono veder realizzato. Tant’è vero che, come documentano da una settimana Le Figaro e, al di fuori di ogni sospetto di simpatia per Sarkò, Le Monde, i francesi sono per il 705 contrari agli scioperi e vedono i blocchi dei trasporti come qualcosa che rallenta lo sviluppo e la modernizzazione della società.

Stesso fenomeno per la scuola, altra roccaforte della sinistra e dei sindacati (come in Italia, del resto). Sarkozy traduce, attraverso il fattore umano, ciò che un redattore del settimanale tedesco Die Zeit, von Joachim Fritz-Vannhame, ha recentemente espresso, avvalendosi del motto reso celebre da Jacques Lacan, “Le style, c’est l’homme”. E continua: Sarkozy è un “terapeuta sociale” per la Francia, perché ascolta i bisogni della gente appunto, come fosse uno psicanalista esperto, e li ricolloca sul piano della politica. Così il gaullismo diventa un fenomeno di massa? Più che altro, così la destra postmoderna cessa di essere succube della sinistra e si ricolloca nella società come protagonista. Esattamente ciò che Berlusconi, dopo quattordici anni di spostamenti egemonici della sinistra, in crisi, e di avanti-indietro della società, intende realizzare. Se non si colloca la mossa della ragion politica berlusconiana a questo livello – e l’ha fatto perfino Bertinotti definendo il Cavaliere “l’alfa e l’omega della politica italiana”, nonché attore politico postmoderno -, si legittima una lettura non adeguata di questa fase politica, rischiando di riaprire casistiche politologiche anche esatte, ma un po’ attardate. Galli della Loggia ha ragioni dalla sua parte, se torna il proporzionale secco, si torna indietro, ma trascura la variabile del fattore umano e della crisi attuale. Variabili importanti.

Da tutto ciò risulta evidente che la rigenerazione della politica, dopo l’ondata dell’antipolitica, che ha occupato anche le teste ben dirette dalla Santa Sede della “Civiltà Cattolica” e qualche monsignore di provata esperienza, non possa realizzarsi né cavalcando questo malmestoso e confuso fenomeno, facendo concorrenza a Grillo, né ignorandolo (su ciò le osservazioni di Mons. Fisichella colgono nel segno: chi ignora, perde in partenza), ma traducendolo, trascendendolo, superandolo in un progetto che abbia alla base il popolo e al vertice una nuova direzione di marcia, un’élite che si ricollochi al centro dell’impegno della rappresentanza degli interessi e dei bisogni dei cittadini. Si dirà: ma questo è populismo. Può anche essere – per quanto non trovi alcunché di ingiurioso in questo “ismo”, mi pare che ve ne siano altri un tantino più imbarazzanti -, ma, domandiamoci,  nella crisi storica attuale, con il governo in balìa della sinistra neocomunista e delle banche, come si ritrova il nesso con il popolo? Per giunta, in una società di singoli, i soggetti costituenti la realtà complessa e anche magmatica della “gente”? L’operazione è ovviamente titanica e molto complessa, ma credo produca le ragioni per le quali aggiungere almeno un aggettivo qualificativo a questo genere di populismo: democratico.