La rovina dell’Iran è non avere ironia
28 Luglio 2010
di redazione
Ahmadinejad ha trovato un nuovo nemico dopo gli Usa e Israele: Paul, il polpo che vive in Germania e ha predetto la vittoria della Spagna ai mondiali in Sudafrica. Paul è "il simbolo della decadenza dell’Occidente", secondo il presidente iraniano, "Quelli che credono a storie del genere non possono essere leader di quelle potenze globali che aspirano – come l’Iran – alla perfezione umana, concedendo interamente se stessi all’amore per i sacri valori".
Che l’Occidente stia perdendo il senso del sacro se ne può discutere, anche se speriamo che non lo ritrovi mai nelle forme in cui lo ha fatto l’Iran. Ma per fortuna, a differenza di alcuni musulmani che manifestano una tendenza esagerata a offendersi o a fare battute (si pensi alle vignette danesi su Maometto) – gli occidentali sanno ancora ridere, come dimostra la "superstiziosa" fiducia riservata al polpo Paul.
Ridere, ha scritto il filosofo Roger Scruton, è "una importante valvola di sfogo" per società sempre più cupe e intruppate. Se gli iraniani ridessero di Paul significherebbe che avrebbero iniziato ad accettare le "stranezze" degli occidentali, e questo sì che sarebbe un modo per far cadere i muri sollevati fra le civiltà – quello che Ahmadinejad teme più di ogni altra cosa.
Ad apparire ridicolo invece è proprio lui, con la sua ipocrita rigidezza da custode della fede, che speriamo non rappresenti la normalità del mondo islamico. Insomma, la vera rovina dell’Iran è la sua mancanza di ironia.