La “rupture” di Sarkozy reggerà all’ondata di scioperi?

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La “rupture” di Sarkozy reggerà all’ondata di scioperi?

Mentre la Francia sta scendendo in piazza, il ricordo positivo o negativo (dipende dal punto di vista) dei lunghi scioperi del 1996 porta a interrogarsi sul modo in cui Sarkozy e le “sue” riforme usciranno dall’autunno di proteste. Di questo hanno parlato nell’incontro di ieri alla Luiss Guido Carli Ilvo Diamanti, Marc Lazar, Yves Meny e Gaetano Quagliariello in occasione dell’uscita dei libri di Lazar (La Francia di Sarkozy) e Quagliariello (La Francia da Chirac a Sarkozy).

Confrontando il caso francese con quello italiano, la vittoria di Sarkozy è apparsa come una vittoria sui fenomeni di crisi della rappresentanza (in particolare dell’emersione di un forte sentimento “anti-politico”) che investono tutta l’Europa. Nel fronteggiare tale crisi, come ha sottolineato Diamanti, Sarkozy ha saputo utilizzare le risorse della politica e della democrazia. Nel “mobilitare” i francesi in suo favore non è stato di poco peso quella del prestigio internazionale, ossia la sua capacità a cancellare l’impressione di declino della Francia, palese soprattutto in seguito alla vittoria del “no” al referendum del 2005. Quagliariello, invece, ha insistito sulla risorsa, fondamentale a livello ideologico, della polemica sul ‘68, mentre Lazar ha visto nella sconfitta socialista del 2002 il fattore determinante della forte mobilitazione dell’aprile-maggio scorso. Infine, a testimonianza della capacità di Sarkozy di utilizzare la risorsa della politica, Meny ha sottolineato come il “parlare chiaro” della campagna elettorale gli abbia permesso, come lo faceva Reagan, di sentirsi e dichiararsi investito di un “mandato”.

I quattro interlocutori sono stati concordi, invece, nel ritenere il pragmatismo di Sarkozy una variabile fondamentale per capire la sua azione e nell’individuare le ragioni della sua vittoria nel maggio scorso. Queste risiedono: 1. nella capacità di elaborare un progetto politico coeso e un quadro ideologico senza compromessi, al contrario della “shopping list” della Royal. A questo proposito, la comparazione effettuata da Meny con il caso %0Aamericano degli anni di Reagan è stata molto suggestivo; 2. nella leadership forte e nella capacità di riunire, come aveva fatto de Gaulle, non solo le tre famiglie della destra francese intorno alla sua persona, ma anche una parte dell’elettorato di sinistra; 3. nell’evoluzione, dopo la riforma del quinquennato, in senso bipartitico del sistema politico-istituzionale; 4. nell’influenza latente ma ben presente del referendum europeo del 2005; 5. in quella esplicita e immediata del fallimento di Jospin nel 2002.

Una divergenza si è delineata, invece, sul tema dei socialisti. Diamanti e Lazar hanno insistito sulla variabile Royal nel rinnovare il quadro politico francese, nel scongiurare ciò che si suol chiamare oggi l’“antipolitica” e nel contribuire allo sviluppo di un clima favorevole alla “rupture” che di riflesso è servito anche a Sarkozy. Quagliariello, invece, ha ritenuto che non deve essere sopravalutata le vicenda Royal nello spiegare la vittoria di Sarkozy e l’evoluzione del sistema politico francese.

Secondo lui, inoltre, la sfida di Sarkozy, quella di rompere con un passato al quale apparteneva, era assai azzardata. Gli è “andata bene”, anche perché ha saputo portare la rottura con Chirac su un punto fondamentale, in quanto epocale, ossia la sfida dell’Islam. Sul piano interno, Chirac aveva cercato delle risposte nella tradizionale cultura repubblicana francese, che era stata funzionale per numerosi decenni ma era ormai superata. Questa cultura relega la religione nella sfera privata, trasmutandosi essa stessa in religione civile al di sopra di ogni fede personale. Sul versante internazionale Chirac aveva chiuso ogni spazio di dialogo con gli Stati Uniti, dimostrando di aver interpretato l’asse franco-tedesco e più in generale il gollismo in un modo irriflesso e pertanto restrittivo. Le ricette di Sarkozy al riguardo non sono ancora del tutto chiare, se non in termini di immagini (basta pensare alla nomina di un filoamericano e filoisraeliano al ministero degli Esteri) ma, in occasione della corsa all’Eliseo, hanno portato a un ripensamento generale dei rapporti tra religione e politica, nonché del posto della Francia in un mondo globale.

Lazar, per conto suo, non ha mancato di sottolineare come, a otto mesi dall’elezione presidenziale, pur incassando un calo nei sondaggi, Sarkozy goda di una quota di popolarità (circa il 55%) da far invidia a molti altri leader europei. Vi sono però tre difficoltà strutturali con le quali il presidente francese dovrà fare i conti. La prima, sulla quale concordano anche Meny e Diamanti, riguarda la congiuntura non propriamente positiva, che rende difficile l’attuazione di un progetto politico pieno di promesse anche sul piano economico. La questione del potere d’acquisto, in particolare, potrebbe rivelarsi a loro parere decisiva di fronte all’opinione pubblica.

Un’opinione – ed è questa la seconda difficoltà indicata da Lazar, nonché la tesi principale del suo libro – che, nonostante il voto della primavera scorsa, non è diventata di destra. Questa constatazione sembra suscitare in Lazar due sentimenti contrapposti: da una parte, la delusione di vedere un partito socialista in grande difficoltà, a causa di una triplice carenza (di leadership, di progetto e di strategia politica); dall’altra, la speranza che, grazie alla persistenza di un ampio elettorato di sinistra, presente nelle fasce più attive e politicamente più impegnate della società, il partito socialista possa approfittare degli scioperi e delle elezioni locali (il PS è tradizionalmente ben radicato a livello locale) per rialzare la testa.

L’ultima difficoltà per Sarkozy individuata da Lazar è l’eterogeneità della coalizione di governo. Su questo punto, le opinioni divergono. Mentre lo storico francese interpreta l’apertura un punto di debolezza di Sarkozy perché strumentale e quindi di corto respiro, Quagliariello e Meny sottolineano come invece essa risponda per molti aspetti ad una necessità propria delle istituzioni della V Repubblica e delle democrazie moderne, così come in queste sono necessari una certa dosa di populismo e di personalizzazione della politica.

 

G. Baldini e M. Lazar (a cura di), La Francia di Sarkozy, Il Mulino, 2007, pp. 240, 17 euro

G. Quagliariello, La Francia da Chirac a Sarkozy. Cronache (2002-2007), Rubbettino, 2007, pp. XIII-94, 9 euro