La Russia allo specchio: riforme o un nuovo crollo
02 Gennaio 2012
Nonostante l’esito ampiamente prevedibile, le elezioni parlamentari del 4 dicembre scorso segnano una svolta cruciale nella storia della Russia contemporanea e suscitano importanti interrogativi sul futuro del Paese. L’ondata di prosteste che ne è seguita sembra non costituire un embrione rivoluzionario bensí un risveglio della coscienza politica e civile dopo quasi dodici anni di quiescienza. Anche se non esiste ancora un movimento politico in grado di proporre un sistema alternativo, il governo di Putin sta perdendo velocemente consenso e legittimitá. Il diffuso malcontento affonda le sue ragioni in un clima di generale instabilità del paese che abbraccia transfersalmente aspetti economici, sociali e politici degli ultimi anni.
La Russia è stata spesso soprannominata da molti “stato mafioso” o “dittatura del KGB”. Tuttavia le radici del potere semi-autoritario di Putin sono riconducibili agli anni ’90, quando Yeltsin sciolse il legittimo parlamento e fece approvare una nuova Costituzione che assicura tutt’ora un poteri quasi illimitati al Presidente della federazione. Nel 1999, Putin prese il comando di un Paese paralizzato da avidi miliardari, crimilità e corruzione dilaganti. Appena eletto presidente, Putin dichiarò che sarebbe stato necessario distruggere il vecchio sistema per costuirne uno nuovo tale da garantire un futuro migliore. Quasi dieci anni dopo, queste parole sono più valide che mai.
Nonostante un sistema politico/sociale imperfetto e “semi-autoritario”, in Russia vi è stata una rinascita economica dopo le turbolenze degli anni ’90. Le condizioni di vita sono generalmente migliorate: stipendi e pensioni sono aumentati piú del doppio e il diffuso benessere è lampante soprattutto nella capitale Mosca. Tuttavia gli eventi del 4 dicembre evidenziano quanto questi cambiamenti non siano piú sufficienti. Per migliaia di persone il tacito compromesso del Leviatano di Hobbes si è infranto. Secondo un recente sondaggio del Centro Levada, il 73% degli intervistati è convinto che il divario tra ricchi e poveri sia aumentato negli ultimi 10 anni, mentre il 53% dichiara che ci sono più ladri e truffattori al governo ora rispetto agli anni ’90.
Anche Alexei Navalny, blogger anti-corruzione e acerrimo nemico del governo, ha dichiarato in un intervista su Esquire che la Russia non ha mai conosciuto tanta ricchezza, benessere e libertà, ma le condizioni attuali non soddisfano un crescente numero della popolazione. La ricandidatura di Putin per un terzo mandato presidenziale significherebbe il protrarsi dello status quo per altri 6 o forse 12 anni, perchè tale è la natura del sistema creato da Putin e dalla sua stretta cerchia di collaboratori.
Il potere altamente centralizzato e verticale facilita la conversione di potere in denaro e viceversa. Ad ogni livello gerarchico, la corruzione non è solo tellerata ma anche sollecitata in cambio di assoluta fedeltà. Il professore Vladislav Inozemtsev descrive l’attuale sistema con il termine neo-feudalismo (Neo-feudalism explained, The American Interest, March/April 2011). Putin ha consolidato il suo potere sull’abilità di bilanciare gli interessi finanziari, economici e politici di diversi gruppi della classe al potere. Business e governo sono così diventati due rami della stesso progetto i cui obbiettivi primari sono autosostentamento e autoconservazione. Non è un caso infatti che ci siano 50 milionari e 6 billionari nell’attuale Duma. (Fine della prima puntata, continua)