La Russia non ha né i soldi né le infrastrutture per tenere al caldo l’Ue

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La Russia non ha né i soldi né le infrastrutture per tenere al caldo l’Ue

14 Gennaio 2009

La recente crisi diplomatica tra Russia ed Ucraina ha riportato agli onori della cronaca la questione della sicurezza energetica europea. L’interruzione di forniture di gas da parte russa verso l’Europa ha evidenziato ancora una volta la vulnerabilità dell’Unione europea agli umori di Mosca e ha messo in luce l’inaffidabilità della Russia come fornitore di energia. L’Europa non è solo ostaggio dei precari giochi politici del Cremlino, ma anche della fattuale incapacità di Mosca di proporsi come partner energetico attendibile.

Lo scorso primo gennaio, come un ritornello che si ripete quasi identico da tre anni a questa parte, la Russia interrompe le proprie forniture di gas all’Ucraina. Di tutte le condotte che passano attraverso il territorio del Paese rimangono aperte solo quelle che trasportano gas ai Paesi dell’Europa occidentale. Passa qualche giorno, ma Mosca e Kiev non riescono a mettersi d’accordo sui termini contrattuali delle forniture. Mosca chiede a Kiev più soldi per il proprio gas (da $250 a $418 per 1000 metri cubi di gas); Kiev esige più danaro per consentire al gas russo di transitare attraverso il proprio territorio (da $1.60 a $2.00 per 1000 metri cubi di gas ogni 100 kilometri). Dapprima la disputa pare esclusivamente economica e limitata ai due Paesi. Il cinque gennaio, però, la situazione precipita improvvisamente: la Russia accusa l’Ucraina di rubare il gas dalle condotte ancora funzionanti. Kiev nega. Mosca decide unilateralmente di sospendere tutte le forniture di gas che transitano attraverso l’Ucraina e sono dirette al mercato europeo. Mezza Europa rischia di rimanere a secco. Slovacchia, Ungheria e Bulgaria soffrono conseguenze gravi ed immediate e, nonostante le scorte, la stretta si fa sentire anche in Germania, Austria, Italia e Francia.

Sorprendentemente, non è la prima volta. Nel gennaio del 2006, in seguito di un’altra disputa sull’aumento dei costi, il monopolio statale russo del gas Gazprom aveva già sospeso le forniture di gas all’Ucraina. Anche allora gli effetti sulle forniture all’Unione europea erano stati immediati, con diminuzioni degli approvvigionamenti fino al 40%. Stessa musica nel 2007: Mosca allora tagliava le forniture alla Bielorussia, con conseguenze istantanee sulla distribuzione in Europa occidentale. Il presidente di turno dell’Unione europea, il Cancelliere Angela Merkel, protestò vivacemente, ma l’incidente si concluse senza grosse ripercussioni per il Cremlino.

L’Unione europea importa circa il 43 % del fabbisogno totale di gas naturale, di cui il 39% dalla Russia. La vita media delle riserve di gas conosciute in Europa, utilizzate a livelli di produzione attuali, è calcolata a vent’anni. Secondo le previsioni della Commissione europea, entro il 2030 l’Unione dipenderà per il 70% del proprio consumo energetico totale da importazioni. La Commissione prevede anche che entro il 2025 l’elettricità consumata dall’Unione potrebbe provenire per circa il 50% da energia elettrica prodotta con gas naturale, in paragone al 29% del 2000.

Fino ad ora Bruxelles si è mossa in tre direzioni per cercare di limitare la propria dipendenza energetica promuovendo una politica di conservazione energetica in tutti i Paesi dell’Unione, cercando di liberalizzare il mercato dell’energia dei Paesi membri e tentando di consolidare i propri rapporti con la Russia di Vladimir Putin, considerata un partner volubile ma tutto sommato affidabile. L’ultima crisi tra Mosca e Kiev, tuttavia, potrebbe cambiare una volta per tutte le carte in tavola. All’allarmante uso politico da parte di Mosca delle proprie risorse energetiche –già emerso chiaramente durante le crisi del 2006 e 2007 – si aggiunge infatti ora il timore che la Russia non sia un partner ideale neanche da un punto di vista economico e produttivo.

La crisi finanziaria che ha colpito l’economia globale ed il conseguente abbassamento dei prezzi del petrolio e del gas hanno avuto un impatto profondo sulla stabilità economica russa. Gazprom, che con le proprie tasse contribuisce per il 25% alle entrate dell’erario russo, è anche la fonte principale attraverso la quale Mosca si assicura l’entrata di  capitali esteri. Gli esperti sostengono che questa volta il braccio di ferro tra Russia ed Ucraina sia stato motivato tanto da ragioni economiche, quanto da ragioni politiche. Il governo russo ha bisogno di liquidità. Nelle scorse settimane il rublo è stato pesantemente svalutato. Le riserve russe di moneta estera si stanno consumando velocemente nel tentativo di difendere la moneta. La Russia sta rapidamente perdendo la tranquillità economica che le avrebbe consentito nel prossimo decennio di aggiornare i propri impianti di estrazione e distribuzione: un aggiustamento indispensabile per far fronte alla domanda interna ed estera di gas e petrolio.

Ancora prima che la crisi economica globale facesse sentire i propri effetti, la produzione dei tre maggiori siti estrattivi di Gazprom (che producono il 70% del gas del monopolio russo) stava diminuendo ad un tasso del 6-7% annuo. La situazione ora non può che peggiorare, sollevando pressanti questioni di affidabilità produttiva e distributiva. L’ennesimo scontro russo-ucraino ha messo inequivocabilmente davanti agli occhi delle Cancellerie europee come, anche a prescindere da considerazioni politiche e strategiche comunque importanti, la Russia dovrebbe essere considerata e soprattutto trattata da partner affidabile solo se in grado di estrarre e fornire il proprio gas in modo efficace e puntuale.

Nonostante lunghe ed esasperanti trattative, la fornitura di gas all’Ucraina e al resto del mercato europeo ad oggi non è ancora tornata a pieno regime. D’accordo con Mosca e Kiev la Commissione europea ha dispiegato 18 esperti e 4 rappresentati della Commissione per controllare che l’Ucraina non sottragga gas delle condotte di transito (un’accusa che, per inciso, Kiev continua a respingere con forza). Mosca accusa Kiev di non aver completamente riaperto i gasdotti, gli osservatori europei sostengono che il flusso di gas proveniente dalla Russia è molto limitato, Kiev dice che Mosca ha cambiato senza avviso i percorsi di distribuzione. Per aggiungere al danno la beffa, i problemi relativi alle dispute contrattuali che hanno inizialmente causato la crisi non sono stati minimamente affrontati. Ci vorrà del tempo perché la situazione ritorni alla normalità, con il forte rischio che le circostanze si ripresentino identiche l’anno prossimo.

Nel frattempo, sarà che quest’inverno è stato particolarmente rigido, o che i litigi tra Russia ed Ucraina si stanno facendo troppo frequenti, pare che alcuni Paesi dell’Unione europea si stiano finalmente preoccupando. La Slovacchia sta riconsiderando l’apertura della centrale nucleare di Jaslovské Bohunice, la Bulgaria quella di Kozloduy. E gli altri? Un amico che studia in Italia ed è esperto di cose russe e buon cibo mi ha detto che tutte le volte che accende la cucina a gas pensa a Putin. C’è da augurarsi che anche Bruxelles e le Cancellerie europee riflettano sulla pericolosità di affidarsi come principale fornitore di energia ad un Paese economicamente e politicamente inaffidabile: preferiremmo tutti continuare a mangiare la nostra pasta al dente, piuttosto che cruda.