La salvezza dell’uomo sta nelle mani di Dio (e in quelle del mercato)
01 Gennaio 2012
Liberismo e cattolicesimo. Due dottrine apparentemente molto lontane, se non in contraddizione, tra loro. La prima concepisce la libertà dell’individuo come fulcro attorno al quale devono ruotare le regole della società e lo Stato, la seconda postula il primato di Dio nell’esistenza dell’uomo, senza il quale nessuna libertà è concepibile. E’ possibile trovare un punto in comune? Possono due mani invisibili, quella del mercato di Adam Smith e quella della Provvidenza divina, agire assieme per sostenere l’economia?
E’ la domanda alla quale tenta di dare una risposta il nuovo libro di Padre Anthony G. Percy, rettore del Seminario del Buon Pastore a Sydney, in Australia, intitolato "L’imprenditoria nella tradizione cattolica", nel quale il reverendo esamina lo sviluppo del pensiero della Chiesa sulle questioni del lavoro e del business, concentrandosi in particolare sulla figura dell’imprenditore.
Sfogliando le pagine, scopriamo, ad esempio, che la Bibbia è piena di aneddoti interessanti relativi al lavoro e l’imprenditoria: dal libro della Genesi, dove si descrive il primordiale impulso dell’uomo a svolgere una attività lavorativa, alle parabole di Gesù, che riprendono episodi della vita economica del tempo (l’uomo che cerca un tesoro nel campo, il mercante che va in cerca di perle preziose, la parabola dei talenti e il confronto tra amministratore onesto e disonesto).
Nella introduzione, l’autore afferma che la Chiesa ha sempre espresso un profondo apprezzamento per il ruolo dell’imprenditore e che la Sacra Scrittura condanna sì l’avidità per il denaro, ma non il profitto. Da questo punto di vista, la dottrina ecclesiastica prende enormemente le distanze dal marxismo, che vede, invece, nell’imprenditore capitalista lo sfruttatore della classe proletaria, prevedendo per lui una giusta punizione finale.
Nella famosa parabola dei talenti, gli amministratori che sono stati capaci di far fruttare i denari a loro assegnati vengono elogiati dal padrone per il loro acume e coraggio, mentre l’amministratore pauroso, che per evitare i rischi e gli ostacoli nasconde il talento, viene condannato senza appello. Volendo contestualizzare la parabola ai tempi nostri, si potrebbe affermare che anche la Chiesa condanna i rentiers, coloro che vivono di rendita senza nulla dare alla società, come i lobbisti, le caste o gli speculatori finanziari. Da questo punto di vista, la dottrina sociale esprime una condanna per le stesse categorie sociali biasimate dagli economisti classici, che vedevano nei rentiers il principale ostacolo allo sviluppo economico.
Il volume compie un ampio excursus storico attraverso i principali contributi economici che la Chiesa ha introdotto all’interno della società moderna. Dalla visione che Tommaso d’Aquino ed altri grandi teologi hanno presentato in merito alla figura dell’imprenditore, depositaria di molte virtù, quali la creatività e il desiderio di lavorare con gli altri, alla riflessione approfondita per le encicliche sociali, a partire dalla "Rerum Novarum" di Leone XIII, nella quale la dottrina allora nascente del socialismo viene respinta, mentre e il diritto alla proprietà privata viene difeso.
Nella enciclica si può osservare un avvicinamento del magistero della Chiesa al concetto liberista di “stato minimale”, laddove si insiste sul fatto che lo Stato non deve soffocare né l’individuo né la famiglia. Contrariamente alla visione comunista, quindi, per la Chiesa lo Stato rappresenta soltanto un mezzo e non un fine per consentire all’individuo, inserito nel nucleo sociale più importante, la famiglia appunto, di sviluppare appieno le proprie potenzialità. Entrambi dovrebbero essere liberi di operare e sviluppare l’iniziativa privata nell’ambito economico.
Vengono inoltre ricordati i contributi di Pio XI e della sua “Quadragesimo anno”, dove il pontefice sottolinea la necessità di indirizzare l’attività economica verso il bene comune, criticando l’eccessivo individualismo economico che ignora la dimensione sociale e morale dell’attività economica.
Due capitoli del libro sono dedicati agli insegnamenti di Giovanni Paolo II ed ai suoi contributi alla dottrina sociale della Chiesa. Nel primo, Percy approfondisce l’enciclica "Laborem Exercens", in cui Giovanni Paolo II precisa tre idee significati attribuibili al lavoro: un significato oggettivo (la creatività dell’imprenditore è dono di Dio), uno soggettivo (il lavoro come completamento della persona) e uno spirituale (partecipazione individuale all’opera redentrice di Cristo).
Infine, l’autore analizza i contenuti della "Centesimus Annus", fornendo un’analisi approfondita dell’economia di mercato, dove si ribadisce che il fattore umano insieme allo sviluppo delle competenze e della tecnologia gioca un ruolo decisivo per lo sviluppo e la creazione della ricchezza, rimarcando l’importanza dell’orientamento imprenditoriale verso i bisogni altrui. Il lavoro coinvolge la persona in una comunità, ed il lavoro generato serve così anche agli altri.