La salvezza di Berlusconi, una buona notizia per l’Italia
18 Dicembre 2010
Per quanto precaria sia e per ciò che si pensi del personaggio, la vittoria di Silvio Berlusconi è una notizia grandiosa per le istituzioni italiane. Respingendo la mozione di sfiducia, anche se solo per tre voti, i deputati hanno bocciato i propositi di un uomo, Gianfranco Fini, che ha tentato di riesumare con la sua ambizione personale la Prima Repubblica fortunatamente tramontata benché mai rimpiazzata nel 1994. Una Repubblica che precede la “discesa in campo” del patron di Fininvest, un’eternità! Una Repubblica che si è conclusa con la famosa inchiesta “Mani Pulite”, trascinando con sé nella tomba la Democrazia cristiana, il Partito comunista e gli intrallazzi politici che componevano e scomponevano gli esecutivi, talora più volte in un anno, sempre alle spalle dei cittadini.
Basta pensare ai sette governi Andreotti o agli otto governi De Gasperi per ritrovare in un istante il ‘capogiro’ dell’epoca. Dal dopoguerra ad oggi, Silvio Berlusconi è l’unico presidente del Consiglio ad aver portato a termine una legislatura, dal 2001 al 2006. E nessun evento eccezionale comprova che possa essere posto un freno al suo tentativo di battere questo record. Il voto del 14 dicembre 2010 ha questo di salutare: la scelta degli elettori, venuta fuori dalle urne dell’aprile 2008, è stata rispettata.
Facendo ritornare per la terza volta Silvio Berlusconi al potere, con il 47% dei loro voti contro il 36% agli avversari, gli italiani avevano detto ‘no’ a Romano Prodi, che giudicavano inattivo. Avevano preferito il “Cavaliere”, mostrando di credere alle sue promesse di abbassare le tasse, di ripulire Napoli dai suoi rifiuti e di rilanciare l’energia nucleare. Alla fine dei conti, già lo si sa, il bilancio rischia di essere grave. Ma se la Costituzione italiana e l’attuale sistema elettorale hanno un sacco di difetti, hanno almeno il merito di assicurare, in misura maggiore o minore, il funzionamento bipolare del Paese e di assicurargli una certa stabilità. Cosa non certo inutile in tempo di crisi dell’Eurozona.
Non è un caso che coloro che cercano spiegazioni sull’atteggiamento di Gianfranco Fini non trovino risposta. Cosa è successo, in fondo, perché il presidente della Camera dei Deputati non sapesse attendere le scadenze ufficiali? Nulla, se non che a gennaio compirà sessant’anni. Alla fine di novembre, i suoi sostenitori hanno postato sul sito della loro fondazione, Generazione Italia, una lettera aperta a Silvio Berlusconi. “Signor Presidente, crediamo che sia finita l’esperienza di questo governo […]. Lei ha fatto del potere un fine in sé, senza riformare il Paese, essendo in conflitto con la magistratura e le organizzazioni sindacali e controllando l’informazione”.
Uno scherzo, poiché in realtà si trattava del discorso fatto esattamente 16 anni prima da Umberto Bossi, leader della Lega Nord, il giorno in cui ruppe con Silvio Berlusconi, costringendo d’improvviso il magnate dei media a terminare più rapidamente del previsto la sua prima esperienza politica. Ora lo scherzo si è ritorto contro il suo stesso autore. Cosa ha fatto in questi ultimi due anni Gianfranco Fini per impedire al presidente del Consiglio di mantenere il controllo su tutte le televisioni e i giornali della penisola? Che cosa ha fatto per fargli smettere di insultare i giudici e per costringerlo a presentarsi alle udienze dei suoi processi? Che cosa ha fatto, infine, per incitarlo a frenare l’impennata del debito pubblico?
Dietro i colpi di scena e il (tardivo) coraggio di eliminare il marcio, davvero maligno chi può leggerci la linea politica. In un quarto di secolo, Gianfranco Fini, ha attraversato quasi tutti i colori dell’arcobaleno. Scelto a metà degli anni 1980 da Giorgio Almirante a guidare il Movimento Sociale Italiano (Msi), il Fronte Nazionale Alpini, si è visto governare negli ultimi giorni con il centro e gli pseudo Verdi, e anche con la sinistra, dopo aver lavorato mano nella mano con la destra berlusconiana dal 1994 al 2010, prima sotto l’etichetta di Alleanza Nazionale (An), come numero due del secondo governo Berlusconi, poi con la bandiera del Popolo della Libertà (Pdl), come presidente della Camera dei Deputati.
Per quanto riguarda il metodo, quello che è successo durante tutto l’anno lascia perplessi. Tutto è cominciato il 22 aprile, in occasione del congresso del Pdl. L’Italia è scossa dagli scandali che circondano la vita privata del capo dell’esecutivo e quel giorno in un anfiteatro vicino al Vaticano, i due uomini si lanciano degli insulti con una violenza rara, al cospetto di un pubblico sbigottito. Alla fine di luglio, il presidente del Consiglio ritiene che il suo partner non è più parte integrante della famiglia. Improvvisamente, nel mese di settembre, l’interessato prende atto del divorzio. Autodefinendosi vittima di una purga “staliniana”, dichiara “la fine” del Pdl e crea un gruppo parlamentare autonomo, senza, però, mettere sul tavolo alcuna divergenza ideologica.
All’inizio di novembre, fonda un nuovo partito, Futuro e la libertà per l’Italia (Fli), ancora senza un programma, e convince i suoi quattro amici ministri a uscire dal governo. Silvio Berlusconi risponde organizzando per il 14 dicembre un voto di fiducia al Senato, dove i suoi seguaci detengono la maggioranza assoluta. La sinistra sfrutta l’occasione e annuncia una mozione di sfiducia lo stesso giorno alla Camera, dove il Pdl ha solo una maggioranza relativa. Gianfranco Fini non può arrivare a condividere questa iniziativa. “Sono del centro-destra e vi ci resto”, ripete fino allo sfinimento. Decide quindi di presentare la sua personale mozione di sfiducia. Ultimo paradosso: solo poco tempo fa, il 29 settembre, aveva sostenuto la precedente votazione di fiducia convocata dal Presidente del Consiglio. “Sono nella maggioranza”, diceva ancora in quell’occasione. “Io sono in opposizione”, ha martellato nelle ore precedenti il voto di martedì scorso. E domani?
(tratto da Les Echos)
(traduzione di Alma Pantaleo)